Basterebbe leggere anche solo poche note delle biografie di Lee Miller, modella, fotografa e corrispondente di guerra, e di Kate Winslet, attrice e produttrice cinematografica, per capire quale profonda fascinazione la prima possa aver suscitato nella seconda: non stupisce, dunque, che Winslet abbia deciso di produrre, oltre che interpretare, “Lee”, biopic diretto da Ellen Kuras nelle sale italiane da pochi giorni.
Miller e Winslet appartengono a due generazioni diverse -la prima, americana, è nata nel 1907, la seconda, inglese, nel 1975-, ma incarnano una medesima idea del ruolo di artista, intesa come testimone, che possa amplificare storie e temi da portare all’attenzione del pubblico, e intellettuale, capace di mettersi costantemente alla prova, senza restare intrappolata tra le maglie, comode ma limitanti, del successo.
Modella, musa del fotografo surrealista Man Ray, fotografa di moda, nel corso della Seconda Guerra Mondiale Miller si reca in Europa e documenta il conflitto come corrispondente per Vogue. Le sue immagini raccontano battaglie e conquiste degli Alleati, la devastazione del Vecchio Continente e, soprattutto, la cruda realtà dei campi di concentramento nazisti di Buchenwald e di Dachau; tra i suoi scatti più celebri, tecnicamente realizzato dal fotografo David Scherman con cui collaborava, quello che la ritrae nella vasca da bagno di Adolf Hitler, un’immagine simbolica e dissacrante, capace di tratteggiare in una dimensione quasi “banale” e smitizzante la fine del Terzo Reich e del suo principale protagonista.
Kate Winslet esordisce nel mondo del cinema con registi del calibro di Peter Jackson, Ang Lee e Kenneth Branagh, ma è con “Titanic” nel 1997 che raggiunge il successo mondiale, grazie al personaggio di Rose De Witt Bukater. Il kolossal di James Cameron le porta decine di proposte ad alto budget, che però rifiuta, preferendo produzioni indipendenti; negli anni, i ruoli che accetta dimostrano quanto sia interessata a raccontare personaggi femminili complessi, irriverenti e problematici.
A portarle l’Oscar come Miglior attrice protagonista nel 2009 è, non a caso, l’interpretazione dell’ex guardia delle SS Hanna Schmitz, nel film “The Reader” di Stephen Daldry; il personaggio è controverso e la pellicola viene accusata da alcuni intellettuali della comunità ebraica americana di proporre una versione fin troppo accettabile della protagonista, una donna che, nell’ultima parte della narrazione, suscita empatia ed è in cerca di perdono.
Forse, il punto d’incontro tra Lee e Winslet si può riassumere proprio nella capacità di suscitare reazioni e dibattiti attraverso il loro lavoro; colpisce che, per entrambe, sia stata decisiva una rappresentazione anticonvenzionale di quello che a buon diritto può definirsi “male assoluto” -la Shoah- che per certi versi ricalca il concetto di “banalità del male” elaborato dalla filosofa Hannah Arendt: il male non risiede in un’indole maligna, quanto piuttosto nella mediocrità, nell’ignoranza e nell’inconsapevolezza di chi lo perpetra senza comprenderne le conseguenze.


Con il loro lavoro, inoltre, entrambe le artiste si sono fatte portatrici di importanti battaglie per l’emancipazione femminile. Lee passò “dall’altra parte dell’obbiettivo”, da modella a fotografa, perché stanca di venire ritratta da uno sguardo maschile; in quanto donna, poi, non fu affatto semplice per lei ottenere i permessi necessari a partire come corrispondente di guerra. Winslet, da parte sua, ha spesso scelto di prestare il volto a personaggi femminili di rottura; fin dai tempi di “Titanic”, è stata criticata per il fisico non conforme agli standard di Hollywood e ha ampiamente denunciato la pressione dell’industria cinematografica sulle donne in questo senso.
Il biopic dedicato a Lee Miller tratteggia una parte fondamentale della vita straordinaria di questa protagonista del Novecento, che merita di essere raccontata e conosciuta dal grande pubblico soprattutto in tempi come questi, in cui tornano a spirare venti di riarmo e guerra. Dopo il secondo conflitto mondiale, infatti, la carriera di Miller entrò in crisi, irrimediabilmente segnata da una forte depressione, dovuta allo stress post-traumatico causato dall’esperienza bellica, e dal conseguente alcolismo. Forse, solo un’attrice anticonformista come Kate Winslet avrebbe potuto raccontare “Lee” in questo modo: non attraverso un semplice tributo, ma facendone un simbolo di creatività e tenacia, con uno sguardo al prezzo che la guerra impone alla vita dei singoli e delle comunità, ieri come oggi.
































