Si viaggia indietro nel tempo, nel film “The Adam Project” diretto da Shawn Levy, e a cimentarsi in questa impresa non è solo il protagonista Adam Reed, interpretato da Ryan Reynolds, ma con lui anche gli spettatori: i numerosi omaggi ad alcune iconiche saghe cinematografiche, infatti, hanno il potere di evocare gli anni ’80 e impreziosiscono piacevolmente questa pellicola adatta a un pubblico eterogeneo, grazie al perfetto equilibrio tra avventura, sentimento e ironia.
Un mix efficace, dunque, in cui la fantascienza è un pretesto per raccontare, innanzitutto, una storia di famiglia: il pilota Adam fugge in modo rocambolesco dal 2050 per tornare al 2018, anno in cui sua moglie Laura (Zoe Saldaña) è scomparsa durante una missione in cui indagava sulla tecnologia dei viaggi nel tempo, gestita dall’imprenditrice Maya Sorian (Catherine Keener); nel salto all’indietro, tuttavia, Adam viene ferito e “precipita” nel 2022, imbattendosi nel se stesso dodicenne. Il giovane Adam, interpretato dal talentuoso esordiente Walker Scobell, è un ragazzino pieno di problemi: è gracile fisicamente, soffre di asma e a scuola è vittima dei bulli, ma, in compenso, possiede una parlantina tagliente, che spesso lo mette nei guai; soprattutto, però, Adam soffre per la morte di suo padre Louis (Mark Ruffalo), avvenuta un anno e mezzo prima, e ha un rapporto conflittuale con sua madre Ellie (Jennifer Garner), con cui non riesce a condividere il dolore per il lutto subito.
L’incontro tra i due Adam è spassoso: difficile, per il dodicenne, credere che si trasformerà in un muscoloso pilota di “jet spaziale” armato di spada laser; d’altra parte l’Adam adulto, nel rivedersi così giovane e vulnerabile, trova il coraggio di affrontare i sentimenti irrisolti nei confronti dei genitori, la rabbia per la perdita del padre e il rimpianto per essersi allontanato dalla madre.
Dopo essere scampati a una serie di agguati mozzafiato che arrivano dal futuro, guidati da Maya Sorian, i due Adam tornano indietro al 2018; i viaggi nel tempo, infatti, sono nati in quell’anno proprio da un’invenzione del loro padre Louis, geniale fisico finanziato dalla Sorian “giovane”, all’epoca sua amica. Riusciranno padre e “figli” a sistemare le diverse linee temporali e a ricongiungersi con i loro affetti?





Non di rado, quando al cinema si parla di viaggi nel tempo, la trama si ingarbuglia tanto da lasciare il pubblico con più di una domanda senza risposta: “The Adam Project” mette subito in chiaro che non si servirà di strampalate teorie “da film” per sciogliere i dubbi – vengono citati sia “Ritorno al Futuro” che “Terminator” -, ma nemmeno propone soluzioni diverse, più o meno plausibili. È una godibile fantascienza “soft”, quella che fa da sfondo alla vicenda della famiglia Reed, che ricorda pellicole come “Navigator” (1986) del regista di “Grease” Randal Kleiser, ma anche “Amore per sempre” (1992) di Steve Miner. Se in “Navigator”, infatti, il protagonista è un dodicenne che compie un salto temporale nel futuro dopo essere entrato in contatto con un popolo alieno, “Un amore per sempre”, la cui sceneggiatura è stata scritta da un giovanissimo J.J. Abrams, vede Mel Gibson nei panni di un pilota che viene ibernato nel 1939, per svegliarsi nel 1992 e venire aiutato da una madre single (Jamie Lee Curtis) e da suo figlio (Elijah Wood).
La sceneggiatura di “The Adam Project” dunque, tratta da una spec script scritta dall’autore T.S. Nowlin senza una committenza e solo in seguito acquisita da Netflix, gioca su meccanismi collaudati e, per il pubblico più maturo, sull’effetto nostalgia: impossibile non riconoscere nelle manovre del jet spaziale di Adam le acrobazie del Millennium Falcon di “Star Wars”, omaggiato anche attraverso i coreografici scontri affrontati a colpi di spada laser. D’altra parte, il dodicenne Adam è un ragazzino del 2022 in tutto e per tutto, per il suo utilizzo compulsivo di videogiochi e realtà aumentata, per l’approccio al problema del bullismo e alla sessualità, per il suo voler apparire “smart” salvo nascondere, così, la propria fragilità.
Di certo, uno dei punti di forza del film risiede nell’alchimia perfetta creatasi fra Ryan Reynolds e Walker Scobell, capace di tener testa alla verve comica del più famoso collega; gli “Adam” duettano deliziosamente e Reynolds si conferma capace di regalare ai suoi personaggi una grande varietà di sfumature, sgretolando lo stereotipo del protagonista “tutto muscoli” con la forza dell’ironia. Dopo il successo di “Free Guy – Eroe per gioco” del 2021, dunque, il sodalizio dell’attore con Shawn Levy funziona ancora una volta e, dopotutto, “The Adam Project” è una storia perfettamente nelle corde del regista, che con la sua produzione – tra i titoli più noti la serie “Stranger Things” – ha ampiamente dimostrato di saper raccontare dinamiche familiari complesse con ironia e sensibilità.
Merita una menzione speciale la colonna sonora del film, firmata dal compositore Rob Simonsen, che comprende brani famosissimi degli anni ‘80, come “Let My Love Open The Door” di Pete Townshend e “Time after time” di Cyndi Lauper, ma anche perle degli anni ’60 come “Gimme Some Lovin’” di The Spencer Davis Group, e che accompagna con la giusta atmosfera lo svolgersi della trama: con i suoi paradossi temporali, dunque, “The Adam Project” è un film fuori dal tempo, perché ha la forza delle storie che, oggi come ieri, strappano un sorriso a qualunque età.
































