“Se tu sentissi il sapore di questa mela… prendila! Te la regalo!”
In tanti ricorderanno la voce che pronuncia queste parole in un famosissimo film d’animazione: ebbene sì, appartiene alla vecchina sotto le cui sembianze si cela la matrigna più crudele nella storia delle fiabe, ovvero la regina Grimilde. La destinataria del succoso dono è, ovviamente, Biancaneve, protagonista di una fiaba resa ancor più popolare nel Novecento dal film “Biancaneve e i 7 nani”, primo lungometraggio animato prodotto dalla Walt Disney Productions nel 1937; a quasi 90 anni dall’uscita, è ormai scattato il conto alla rovescia per il debutto nelle sale della versione live action della pellicola, fissato per il prossimo 20 marzo.
Tra gli adattamenti dei classici animati, “Biancaneve” rappresenta senza dubbio il più problematico, una “mela avvelenata” che ha oscurato perfino le polemiche suscitate da “La Sirenetta”: da Rachel Zegler, scelta per interpretare la protagonista e giudicata inadatta per la pelle ambrata, ai 7 nani, sostituiti da un’inclusiva compagine di creature magiche poi rimpiazzata da una versione più tradizionale, sembra che Biancaneve sia rimasta intrappolata tra le spire di alcuni delicati dibattiti contemporanei, complici anche le dichiarazioni dell’attrice israeliana Gal Gadot, volto di Grimilde.
Alla luce delle recenti polemiche, ci si potrebbe domandare fino a che punto sia lecito modificare una fiaba per adattarla alla sensibilità moderna: per tentare di rispondere a questa domanda, risulta utile tornare “alle origini delle fiabe”, per scoprire che la materia fiabesca è molto meno cristallizzata di quanto si pensi e rappresenta il frutto di un’evoluzione lunga secoli.
La versione più conosciuta della fiaba di “Biancaneve”, per esempio, è quella redatta dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm nel volume “Le fiabe del focolare”, pubblicato per la prima volta nel 1812 e successivamente rimaneggiato; alcuni elementi che caratterizzano il personaggio, tuttavia, sono già presenti nella raccolta di fiabe in lingua napoletana “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile, edito tra 1634 e 1636. Ne “Il Corvo”, infatti, il re protagonista trova un corvo morto nella neve e resta folgorato dal contrasto cromatico tra il rosso del sangue della creatura, il bianco del manto nevoso e il nero del piumaggio, tanto da desiderare una sposa dalla pelle bianca come la neve e le guance rosse come il sangue. Se aggiungiamo i capelli color ebano, come le piume del volatile, ecco apparire la “nostra” Biancaneve, che cominciò a viaggiare oltralpe grazie alla notorietà dell’opera di Basile.
I “cunti”, ispirati a personaggi realmente esistiti -in questo caso la Marchesa Giovanna Zazzera, legata alla casata Corvi-, si sarebbero dunque sovrapposti al patrimonio di racconti e leggende popolari dei luoghi in cui si diffusero, così come alle vicissitudini di alcune personalità dell’epoca. Sono numerose, infatti, le fanciulle che, secondo gli studiosi, potrebbero considerarsi la reale ispirazione per Biancaneve: tra queste, Margaretha von Waldeck, nata a Bruxelles nel 1533 e amante del futuro Filippo II di Spagna, avvelenata quasi certamente per ordine della famiglia reale che osteggiava l’unione; il padre di Margaretha gestiva delle miniere dove è noto lavorassero anche dei bambini, che devono aver ispirato i nani della fiaba. Peraltro, nel folklore di quelle terre, è presente la figura dello “stregone dei meli”, misterioso personaggio che avvelenava le mele per punire i bambini che erano soliti derubarlo della frutta dei suoi alberi.
Anche la storia di Maria Sophia Margaretha Catharina von Erthal, nata nel 1725 a Lohr, in Germania, presenta molti punti in comune con quella di Biancaneve. Maria fu vittima delle angherie della matrigna, che la costrinse ad allontanarsi dal castello di famiglia per vivere nei boschi circostanti: anche lì, non a caso, erano presenti numerose miniere, che arruolavano giovanissimi lavoratori; a Lohr, inoltre, è tuttora possibile ammirare un giocattolo acustico, uno “specchio parlante”, che ricorda quello di Grimilde.
Questi pochi esempi basterebbero a dimostrare quanto la materia delle fiabe sia soggetta a adattamenti, calchi e censure: è noto che nella prima versione redatta dai Grimm, non fosse la matrigna a tentare di uccidere Biancaneve, bensì la vera madre, divenuta gelosa della bellezza della bambina e desiderosa di divorarne fegato e polmoni conditi con sale e pepe. Tra infanticidio e cannibalismo, lavoro minorile e necrofilia, con un principe che di fatto si innamora di un cadavere, sembra evidente che la fiaba di Biancaneve, così come molte altre, sia stata già rimaneggiata nel tempo, ma fortunatamente sia destinata a permanere, viva e fluida, nella memoria di chi da sempre ascolta e legge le storie.