Se nel cinema degli anni ‘80 c’è stata una commedia “nera” capace di raccontare i rapporti uomo-donna e, in particolare, marito-moglie con uno sguardo impietoso, è stata “La guerra dei Roses”, pellicola diretta da Danny De Vito con Michael Douglas e Kathleen Turner nel ruolo dei protagonisti. Tratta dall’omonimo bestseller scritto da Warren Adler nel 1981, la storia dei coniugi Rose nel tempo si è trasformata in un piccolo cult movie, che ha dipinto con ferocia il disamore esploso all’interno di una coppia apparentemente perfetta.
A oltre 30 anni di distanza, arriva nelle sale a partire dal 27 agosto “I Roses”, atteso remake che vede alla regia Jay Roach, già autore della surreale saga di Austin Powers, e alla sceneggiatura Tony McNamara, scrittore che ha firmato gli script de “La favorita” e “Povere Creature!” di Yorgos Lanthimos. Una “strana coppia” di autori, dunque, che fornisce un indizio interessante riguardo il tenore del film: attraverso la storia dei coniugi Ivy (Olivia Colman) e Theo Rose (Benedict Cumberbatch) si tratteggia infatti l’opulenta, ipocrita società occidentale con occhio surreale e straniante, evidenziando gli squilibri e le contraddizioni che caratterizzano i rapporti uomo-donna in tempi di presunta parità di genere e emancipazione femminile. A finire sotto i riflettori è, in parte, anche il moderno concetto di famiglia, un complesso, per quanto piccolo organismo che entra in crisi quando al suo interno i ruoli prestabiliti vengono meno e i cambiamenti -di qualunque tipo essi siano- si trasformano nell’occasione per una spietata, irriverente resa dei conti fra i suoi componenti.
Ivy e Theo Rose, del resto, sembrano avere una vita perfetta: chef dotata di grande estro creativo, Ivy gestisce con soddisfazione il suo piccolo ristorante, il “We’ve Got Crabs”, mentre per Theo, affermato architetto, si avvicina l’inaugurazione di un importante museo da lui progettato. Accanto alla coppia, oltre a due figli “modello”, c’è un folto gruppo di amici e colleghi: Barry (Andy Samberg) e Amy (Kate McKinnon), fulgido esempio di relazione politically correct, Jeffrey (Ncuti Gatwa) e Jane (Sunita Mani), collaboratori di Ivy al ristorante, e Sally (Zoë Chao) e Rory (Jamie Demetriou), architetti colleghi di Theo.
Proprio durante l’inaugurazione del museo da lui progettato, tuttavia, si verifica un disastroso crollo, che innesca una serie di meccanismi destinati a cambiare per sempre la vita dei Roses: l’attenzione mediatica dedicata all’incidente, infatti, porta un giornalista a scoprire il ristorante di Ivy, che ben presto balza agli onori delle cronache culinarie. Per Ivy, arrivano finalmente i meritati riconoscimenti, una ricompensa per gli anni in cui si è occupata dei figli e ha sostenuto la carriera del marito.
All’ascesa di Ivy, però, corrisponde la profonda crisi di Theo, che mal sopporta la crescente fama della moglie: iniziano dunque delle vere e proprie azioni di “guerriglia” tra i coniugi, che tra un dispetto e l’altro si accusano -dapprima con grande sottigliezza, poi sempre più apertamente- di aver rovinato l’uno la vita dell’altra. In un’escalation di parole argute e crudeli, la resa dei conti si compie dapprima davanti ai rispettivi avvocati -molto spassosa Allison Janney nel ruolo del legale di Ivy-, poi tra le mura incompiute della casa, modernissima e tuttavia decadente, dei Roses, che diventa testimone di un destino beffardo; Ivy e Theo, peraltro, trascinano nel gorgo della crisi anche i loro amici, smascherando i loro indicibili segreti e dimostrando che basta un piccolo ma significativo ribaltamento di prospettiva, per strappare dal volto la maschera imposta dall’abitudine o dalla società.
Non è dato sapere cosa si possa trovare dietro quella maschera: forse, con uno spiccato tocco di humor nero, i Roses svelano le ombre della natura umana, incapace di adattarsi fino in fondo ai cambiamenti. Tuttavia, è interessante notare come in questo remake, così come nella pellicola del 1989, la crisi di coppia e familiare si inneschi quando la donna -lavoratrice, moglie e madre- si fa portatrice del seme della ribellione. Qualcosa su cui riflettere, tra un arguto scambio di battute e una risata feroce.
