La cronaca della guerra in Ucraina racconta quotidianamente quanto sia cruciale, in tempi in cui le informazioni viaggiano rapidamente in rete e sui social media, verificare attentamente le notizie e interpretarle attraverso il filtro della propaganda, che le manipola per le proprie finalità: il film “L’arma dell’inganno – Operazione Mincemeat” di John Madden si focalizza proprio sul tema dell’informazione -in questo caso sarebbe forse più corretto parlare di disinformazione- che, opportunamente confezionata e diffusa, ha il potere di condizionare l’esito di un conflitto. Nonostante dunque la pellicola sia ambientata nel corso della Seconda Guerra Mondiale e racconti uno dei più famosi casi di manipolazione del mondo dello spionaggio, il suo fulcro narrativo risulta di grande attualità e spinge a interrogarsi sui meccanismi che, oggi come in passato, governano il mondo delle news e, soprattutto, delle fake news.
È la primavera del 1943, gli Alleati si apprestano a sbarcare in Sicilia e infliggere così un colpo fatale alle truppe fasciste e naziste sul fronte meridionale, ma per sviare le potenze dell’Asse dall’obbiettivo e facilitare l’operazione, i servizi segreti britannici inventano una storia, la “vendono” al nemico con la speranza che attecchisca e condizioni gli schieramenti degli avversari; a ideare il piano sono due agenti dell’intelligence, Ewen Montagu e Charles Cholmondeley, interpretati rispettivamente da Colin Firth e Matthew Macfadyen: il cadavere del Maggiore dei Royal Marines William Martin viene convenientemente fatto trovare presso Huelva, sulle coste spagnole, con preziose lettere che riferiscono di due operazioni speciali, la “Husky”, finalizzata a uno sbarco degli Alleati in Grecia, e la “Brimstone”, diretta invece alla “patria delle sardine”, la Sardegna; la Sicilia viene menzionata solo come finto obbiettivo del piano.
In realtà, però, il Maggiore William Martin non esiste: i suoi documenti d’identità vengono preparati con minuzia in modo da superare un eventuale esame dei nemici e, insieme alle lettere con le informazioni sullo sbarco, vengono scritte anche delle missive personali, del padre e della fidanzata del Maggiore, oltre a un sollecito di pagamento della Lloyds Bank, che rendano più credibile il ritrovamento. Il cadavere del presunto William Martin utilizzato per l’operazione denominata “Mincemeat”, “carne macinata”, è invece di Glyndwr Michael, un uomo gallese suicidatosi con del topicida, che viene opportunamente approntato per suggerire una morte per annegamento; una volta identificato, il Maggiore viene sepolto con gli onori militari a Huelva, dove la tomba si trova ancora oggi.
Le lettere di Martin vengono intercettate e sottoposte al vaglio dei servizi segreti tedeschi: verranno ritenute autentiche? L’operazione di depistaggio avrà gli effetti sperati sullo sbarco che, effettivamente, si compirà in Sicilia nel luglio del 1943?





Il film racconta la vicenda con grande accuratezza storica: la sceneggiatura è stata scritta da Michelle Ashford, già vincitrice di un Emmy per la serie “The Pacific” ambientata durante il secondo conflitto mondiale, che per la stesura si è ispirata al romanzo dallo stesso Montagu, “The Man Who Never Was”, e al saggio del giornalista Ben MacIntyre “Operation Mincemeat”, alla base, tra l’altro, di un documentario di grande successo prodotto dalla BBC. Nella narrazione i toni della spy story classica sono stemperati da tocchi di ironia dissacrante e sentimento, com’è nella cifra stilistica del regista John Madden, che ha diretto il pluripremiato “Shakespeare in Love” e, più recentemente, i due capitoli delle drama-comedy “Marigold Hotel”; ospite del Bari Film Festival lo scorso marzo, Madden ha sottolineato l’importanza dei due personaggi femminili principali, Jean Leslie, interpretata da Kelly Macdonald -infatuazione del pur sposato Montagu così come di Cholmondeley-, e Hester Leggett, a cui presta il volto Penelope Wilton -segretaria storica di Montagu-. Il regista ha inoltre ammesso la difficoltà, o meglio, l’imbarazzo di promuovere il suo film “di guerra” con il conflitto in Ucraina in corso, per quanto le scene dedicate alle operazioni militari siano effettivamente ridotte e, piuttosto, la pellicola si concentri sul “dietro le quinte” dei campi di battaglia e sulle trame faticosamente ordite dai servizi segreti britannici.
Nel film è soprattutto la storia di una bugia che si racconta e di come è stata creata; non a caso il Twenty Committee, il comitato che presiedeva alle operazioni del controspionaggio britannico, poteva contare al suo interno alcuni scrittori, tra cui Ian Fleming, impersonato nel film da Johnny Flynn: l’operazione Mincemeat fu ispirata proprio da una sua idea e nonostante il futuro creatore di James Bond non avesse all’epoca ancora iniziato a raccontare le vicende della celebre spia, è evidente quanto la metodologia del depistaggio sia stata, innanzitutto, un’invenzione narrativa.
La potenza della parola, dunque, sembra essere la vera protagonista del film, capace di fare di una “storia”, sapientemente scritta in alcune lettere fasulle, la “Storia” da cui dipende la vita di milioni di persone: dal 1943 a oggi sembra proprio che le armi dell’inganno, pur supportate da più moderni mezzi di comunicazione e diffusione, siano sempre le stesse.