“Mission: Impossible”: dal telefilm alla saga cinematografica, 60 anni di “missioni impossibili”

Dalla serie cult degli anni ‘60 agli action movie con Tom Cruise: vediamo come la saga dell’IMF ha raccontato i cambiamenti del mondo, tra agenti segreti, minacce globali e l’intelligenza artificiale di “The Entity”

60 anni di “missioni impossibili”: dalla serie cult degli anni ‘60 agli action movie con Tom Cruise

Al cinema, è la frase che segna l’inizio di una nuova “missione impossibile”, affidata dall’IMF – Impossible Mission Force ai suoi agenti segreti: nell’immaginario comune, ad ascoltare la fatidica comunicazione proveniente da un dispositivo elettronico più o meno sofisticato è Ethan Hunt, esponente di punta dell’IMF a cui presta il volto, fin dal lontano 1996, Tom Cruise.

Per quasi 30 anni dunque, e per ben 8 film, le missioni di Hunt e compagni hanno trasportato il pubblico nel mondo dello spionaggio internazionale attraverso innumerevoli scenari apocalittici; pur con una dose massiccia di spettacolarità, queste pellicole hanno ricalcato l’attualità storico-politica dei decenni in cui sono state scritte e girate e, come prodotto di fiction, sono state capaci di tratteggiare l’evoluzione di questioni critiche, dalla minaccia nucleare all’ascesa di regimi totalitari, dalla crisi ambientale ed energetica all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

Al centro di “Mission: Impossible – Dead Reckoning”, uscito nel 2023, e di “The Final Reckoning”, in uscita il prossimo 22 maggio, c’è proprio “The Entity”, AI celata nel sottomarino russo K599 Sevastopol, dal cui controllo dipendono le sorti dell’umanità: il trailer lascia supporre che questa sia l’ultima missione di Hunt, chiamato a fare i conti con alcuni demoni del passato, ma chissà se Cruise abbandonerà davvero uno dei suoi personaggi più amati e se questo significherà la fine del franchise o piuttosto segnerà un passaggio di testimone.

Del resto, la storia di “Mission: Impossible” è cominciata ben prima dell’agente Hunt, sugli schermi televisivi dell’America degli anni ‘60; è andato infatti in onda nel settembre del 1966 il primo episodio della serie “Mission: Impossible” creata da Bruce Geller, in cui si pongono le basi per l’universo narrativo degli agenti IMF. A capo della squadra che riceve i nastri -destinati all’autodistruzione- con i dettagli della missione, c’è l’agente Dan Briggs (Steven Hill), affiancato da Rollin Hand (Martin Landau), Cinnamon Carter (Barbara Bain, moglie di Landau e sua collega anche nella serie “Spazio 1999”), Barney Collier (Greg Morris) e Jim Phelps (Peter Graves); ciascuno ha delle attitudini specifiche, ma tutti gli agenti sono versati nel travestimento e nelle azioni sotto copertura, anche grazie all’utilizzo delle maschere che sono uno dei marchi di fabbrica della serie.

Il telefilm ha avuto un incredibile successo, con ben 7 stagioni e la partecipazione di guest star del calibro di Leonard Nimoy, nei panni de “l’Incredibile Paris” in una cinquantina di episodi, Fernando Lamas e il pugile Sugar Ray Robinson; il celebre tema di “Mission: Impossible” è stato scritto proprio per il telefilm dal compositore Lalo Schifrin ed è stato mantenuto, pur con delle rivisitazioni, anche nella saga cinematografica. Tra il 1988 e il 1990 sono invece andate in onda le due stagioni de “Il ritorno di Mission: Impossible”, con Jim Phelps (ancora Graves) a capo della squadra composta, tra gli altri, da Jane Badler, interprete dell’inquietante Diana del telefilm “Visitors”.

Il debutto cinematografico del 1996 segna un nuovo inizio, con Cruise già coinvolto come produttore e con il personaggio di Phelps, qui interpretato da Jon Voight, a fare da collegamento tra piccolo e grande schermo: il film è un gioiello firmato da Brian De Palma, una pellicola di spionaggio di impianto classico, in cui già si innestano alcune scene d’azione destinate a passare alla storia; tra gli aspetti più interessanti di questa saga, del resto, c’è proprio la varietà di stili con cui è stata declinata dai diversi registi che si sono avvicendati dietro la macchina da presa, dai ritmi frenetici di John Woo in “Mission: Impossible 2” (2000), stemperati da un utilizzo quasi aulico del ralenti per le coreografie d’azione più complesse, alla costruzione “ad orologeria” di “Mission: Impossible III” (2006) con la regia di J. J. Abrams, che si distingue per la particolarità di non svelare mai cosa sia la “zampa di lepre”, ovvero l’oggetto del contendere tra Hunt e il suo antagonista Owen Davian (Philip Seymour Hoffman).

Stilisticamente, i film successivi sono più simili tra loro: “Protocollo fantasma” (2011), con la regia di Brad Bird, “Rogue Nation” (2015), “Fallout” (2018) e “Dead Reckoning” (2023), tutti firmati da Christopher McQuarrie, sono infatti legati da una continuity più serrata della narrazione, con un tasso crescente di adrenalina e una spinta sugli effetti speciali decisamente estrema. Tra i personaggi principali di questa “fase”, oltre agli ormai mitici Luther Stickell (Ving Rhames) e Benji Dunn (Simon Pegg), si distinguono Ilsa Faust (Rebecca Ferguson), agente dell’MI6 britannico e complicato interesse amoroso di Hunt, e Grace (Hayley Atwell), una solitaria professionista di compravendite illegali che trova nella squadra dell’IMF la famiglia che non ha mai avuto.

Che sia proprio lei il personaggio destinato a raccogliere l’eredità di “Mission: Impossible”? Forse, i tempi sono finalmente maturi per una protagonista femminile della saga.

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