Fede e ragione: da sempre il conflitto tra attitudine religioso-soprannaturale e inclinazione scientifico-razionale è stato posto da sceneggiatori di film e serie alla base di trame accattivanti, oltre che del rapporto tra i protagonisti delle storie. Da “X-Files”, che negli anni ‘90 ha raccontato le vicissitudini degli agenti dell’FBI Fox Mulder, sostenitore del paranormale, e Dana Scully, medico legale devoto alla scienza, fino al recentissimo “Evil”, con il seminarista cattolico David Acosta, aspirante esorcista, e la psicologa forense Kristen Bouchard, impegnata a spiegare razionalmente anche i casi più misteriosi, la dinamica “credente VS scettico” ha la capacità di appassionare il pubblico, portandolo a schierarsi con l’uno o l’altro dei personaggi in base alle proprie esperienze e credenze.
“Grotesquerie”, serie in 10 episodi targata FX e disponibile su Disney Plus a partire dal 13 novembre, ricalca questo espediente, trasferendolo in una narrazione di genere horror investigativo smaccatamente grottesco, proprio come suggerisce il titolo, e a tratti disturbante; non potrebbe essere altrimenti, del resto, se si pensa che uno dei creatori dello show, insieme a Jon Robin Baitz e Joe Baken, è Ryan Murphy, autore di serie di grande impatto, decisamente non adatte a spettatori troppo sensibili, a cominciare da “Nip/Tuck” nei primi anni Duemila, per proseguire con la serie antologica “American Horror Story” e i recenti “Monster” e “The Watcher”.
Si racconta della detective Lois Tryon (Niecy Nash), chiamata a indagare su una serie di omicidi dai tratti efferati; la piccola comunità in cui si sono verificati i crimini è sotto shock e Lois si sente particolarmente coinvolta dal caso, condizionata in parte da gravi problemi personali: il marito Marshall (Courtney B. Vance) è afflitto da una lunga degenza in ospedale e i rapporti con la figlia Merritt (Raven Goodwin) sono decisamente tesi.
Una strana inquietudine spinge dunque la detective, che si sente destinataria di un misterioso messaggio del serial killer, ad accettare di collaborare con Suor Megan (Micaela Diamond) per le indagini: le modalità degli omicidi, infatti, rivelano una spiccata matrice mistico-religiosa e la suora, giornalista per il Catholic Guardian e esperta di cronaca nera, sembra in grado di interpretare la simbologia utilizzata dall’assassino nell’approntare le scene dei crimini e nel disporre i corpi delle vittime.
Le protagoniste della serie, dunque, non potrebbero essere più diverse: Lois appare segnata dalle tragedie personali così come dalla durezza del proprio lavoro, a cui fa fronte indulgendo fin troppo spesso nell’alcol; Suor Megan, pur avendo sperimentato di persona gli abissi morali di cui può macchiarsi l’umanità, ha mantenuto comunque viva la speranza che essa possa redimersi.
Nel portare avanti le indagini, dunque, le donne mettono a confronto le proprie convinzioni e visioni della vita: in questa dicotomia, risiede uno degli aspetti più interessanti della serie, con la ruvida Lois “costretta” a rapportarsi con una dimensione filosofico-religiosa inusuale per il suo modus operandi; d’altra parte, Suor Megan non è certo una religiosa convenzionale e proprio i suoi comportamenti poco morigerati, come nel caso del linguaggio talvolta sorprendentemente esplicito e colorito, conferiscono alla vicenda un tocco inatteso di comicità.
Del resto, il senso del grottesco deriva proprio dalla stranezza bizzarra e paradossale che caratterizza la narrazione, capace di suscitare orrore e rifiuto, ma anche affezione e riso, per quanto velato di inquietudine; contribuiscono a creare questa atmosfera anche i personaggi secondari della serie, in particolare la morbosa infermiera Redd (Lesley Manville) e l’affascinante, a tratti blasfemo, padre Charlie Mayhew (Nicholas Alexander Chavez).
Se è vero che “Grotesquerie” si inserisce nel filone delle serie “figlie” di “True Detective” ed è debitrice, forse in misura ancora maggiore, dell’iconico thriller “Seven” di David Fincher, è altrettanto vero che questo prodotto presenta dei singolari tratti di originalità, in parte dovuti alla riconoscibile cifra stilistica del creatore Ryan Murphy, sempre dissacrante, in parte alla scelta delle attrici protagoniste, capaci di dare vita a un duo investigativo di sicuro interesse. Nella loro diversità, la detective Tryon e Suor Megan sembrano suggerire che la salvezza dell’umanità dalla definitiva decadenza morale e sociale risieda proprio al confine -sottile e impalpabile- tra il cinismo più cupo e la pura speranza.