L’estate, si sa, è tempo di horror e quella del 2024 è segnata da una pellicola destinata a far discutere, che si propone come una moderna interpretazione dei film d’exploitation o di “sfruttamento” in voga soprattutto nel vecchio continente tra gli anni ‘70 e ‘80, così definiti per la peculiarità di sfruttare e trattare determinate tematiche in modo volutamente scioccante e sensazionalistico: per la precisione “Immaculate – La Prescelta” di Michael Mohan, in uscita nelle sale italiane l’11 luglio, riscrive in chiave horror il sottogenere “nunexploitation”, dalla parola “nun”, ”suora”.
Convenzionalmente, queste pellicole erano ambientate in epoca medievale, tra le mura di austeri conventi in cui le religiose protagoniste erano vittime di comportamenti perversi, vessate psicologicamente e sessualmente; tra atmosfere soft-porno e qualche concessione al sadomasochismo, tuttavia, c’era anche il tempo per la critica sociale, con l’affermazione della libertà sessuale contrapposta all’ipocrisia dalla rigida morale religiosa.
“Immaculate” si appropria di questo patrimonio e lo mescola a quello del genere horror-splatter, a cui il cinema italiano di quegli stessi anni ‘70 e ‘80 ha regalato vere e proprie perle -tra cui spiccano le opere di Lucio Fulci, come “Non si sevizia un paperino” e “Zombie 2”-; il risultato è un film dal sapore vintage, che pesca a piene mani nel bacino dei b-movies a cui registi come Quentin Tarantino spesso si sono ispirati e che dunque non teme di risultare disturbante ai limiti della blasfemia, tra improbabili teorie genetiche e sangue a profusione.
Se a questo si aggiunge una protagonista come Sidney Sweeney, stella in ascesa a Hollywood dopo i ruoli in serie come “Euphoria” e “The White Lotus” e già protagonista per Michael Mohan del noir “The Voyeurs”, si comprende appieno quale sia l’humus in cui la sceneggiatura di “Immaculate”, scritta da Andrew Lobel, è venuta alla luce.
La vicenda si svolge in un suggestivo ma convenientemente isolato convento della campagna laziale, che custodisce una sacra reliquia della crocifissione di Cristo: la giovane Suor Cecilia (Sidney Sweeney), americana, viene invitata da padre Sal Tedeschi (Álvaro Morte) a raggiungere l’Italia e a unirsi alla comunità conventuale, dedita alla cura delle suore malate ormai in fin di vita. Cecilia, che da bambina ha avuto un’esperienza di morte apparente -per 7 minuti è stata creduta defunta dopo essere caduta in un lago ghiacciato- è particolarmente sensibile al tema e accetta la proposta di padre Tedeschi, convinta di essere stata salvata da Dio, a suo tempo, per realizzare uno scopo ben preciso.
L’accoglienza al convento, tra la Madre Superiora (Dora Romano) e le consorelle, è calorosa, ma ben presto l’apparente tranquillità del ritiro spirituale è minata da alcune avvisaglie inquietanti: Suor Cecilia è tormentata da strani incubi, popolati da figure incappucciate; stringe amicizia con Suor Guendalina (Benedetta Porcaroli, recentemente protagonista del “Vangelo secondo Maria” di Paolo Zucca), sua coetanea decisamente non allineata alla rigidità della vita in convento, e condivide con lei alcune scoperte angoscianti, tra cui la presenza di cicatrici a forma di croce sui piedi di un’anziana religiosa. Dopo l’ennesimo incubo, Suor Cecilia scopre di essere rimasta incinta, pur non avendo mai avuto rapporti sessuali; apparentemente la notizia viene accolta con gioia nel convento e la giovane viene salutata come la nuova Vergine Maria, salvo poi cadere vittima di un tentato omicidio da parte di un’allucinata consorella che reclama per se stessa il ruolo salvifico della madre del futuro Messia.
La salute di Suor Cecilia, intanto, peggiora, ma inspiegabilmente Padre Tedeschi si rifiuta di farla visitare da un medico esterno al convento e di portarla in ospedale; suor Guendalina, che intanto ha pubblicamente stigmatizzato l’operato della Madre Superiora e del sacerdote in merito, viene punita con il taglio della lingua: Suor Cecilia precipita in una spirale di orrore che la vede vittima di arditi esperimenti e, mentre cerca di salvarsi dalle trame oscure in cui è rimasta coinvolta, si domanda -e gli spettatori con lei- quale sia la natura della creatura che porta in grembo. La risposta a questo dilemma non è semplice né scontata e in questo rapporto “speciale” tra madre e figlio si riverbera un’altra illustre fonte d’ispirazione del film, ovvero “Rosemary’s Baby” di Roman Polanski.
La dolcezza della campagna laziale -il film è stato girato principalmente a Canale Monterano, mentre i ciak delle scene ambientate in convento sono stati realizzati nelle strutture di San Bonaventura al Palatino– si tinge del rosso acceso del sangue, che nel film scorre copioso; “Immaculate” risparmia davvero poco al pubblico e di certo non può essere tacciato di non mantenere quanto promesso nel trailer.
Una pellicola per amanti del genere, dunque, che tra le pieghe della brutalità cela una riflessione sulle diverse sfaccettature della maternità, mettendo al centro il corpo della donna, usato e abusato. Il vero orrore, sembra suggerire il film, è questo, ben oltre i litri di sangue finto che imbrattano la malcapitata protagonista.