Con il suo ultimo film, “Io capitano”, il regista Matteo Garrone racconta che il diritto di sognare appartiene a tutti e, in particolare, ai più giovani, indipendentemente dal luogo in cui sono nati; ancora, racconta che non ci sono desideri più importanti, più “giusti” da perseguire, ma di certo esistono percorsi più difficili e pericolosi di altri da affrontare per realizzarli e, nel compierli, spesso i sognatori si perdono o, nel migliore dei casi, si trasformano da ragazzi in uomini.
È questa la storia dei cugini Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), adolescenti di Dakar che vivono delle vite solo relativamente normali, segnate da povertà e sacrificio; non basta l’amore delle loro famiglie, di madri affettuose e sorelline vivaci, a colmare il desiderio di una vita migliore, come star della musica magari, nella meravigliosa Europa che traspare dai video su TikTok e Instagram, così come non servono i terribili racconti di chi, dall’Africa, ha già provato a partire, ma si è scontrato con la dura realtà di un viaggio nell’inferno del deserto libico.
Così, con in tasca i soldi guadagnati lavorando di nascosto come manovali, Seydou e Moussa lasciano il Senegal, decisi a cambiare un destino che nel loro paese pare segnato, per poter offrire anche alle loro famiglie una vita migliore; i cugini arrivano nel Mali con un passaporto falso, poi in Niger e in Libia, passando attraverso il mare di sabbia del deserto, in balia del quale ogni briciolo di umanità viene meno e si concretizzano i peggiori racconti che Seydou e Moussa hanno sentito sul “viaggio”, quell’unica parola che racchiude fatica, disperazione, violenza e un solo barlume di speranza.
Brutalmente arrestati e condotti in due diverse prigioni, preda dei criminali che hanno fatto del sogno di un’esistenza dignitosa una remunerativa fonte di guadagno in tutto e per tutto simile a una tratta di esseri umani, i cugini si separano: ciascuno di loro dovrà vivere la sua personale odissea per provare a raggiungere Tripoli e imbarcarsi verso l’Italia.
Il film segue, in particolare, le vicende di Seydou, più dubbioso di Moussa circa la possibilità di partire; coscienzioso e sincero ai limiti dell’ingenuità, il ragazzo -orfano di padre- è legato a sua madre da un grandissimo amore e avverte, una volta compreso che il viaggio intrapreso potrebbe essergli fatale, un forte senso di colpa, per essere partito di nascosto.
La bellezza e l’onestà intellettuale di “Io capitano”, scritto da Garrone insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri, risiede proprio nel non abbandonare mai lo “sguardo” di Seydou, il filtro attraverso il quale il pubblico condivide l’orrore e il senso di abbandono del protagonista, ma al contempo sperimenta la sua forza, la sua perseveranza, la sua speranza un po’ folle, tipica dei giovani, che anche nei momenti peggiori lo spinge a coltivare l’idea di un futuro migliore.
Il film è, in definitiva, il duro racconto di formazione di un adolescente, il cui forte senso di responsabilità si trasforma nel coraggio che, infine, gli fa pronunciare la frase del titolo, quell’Io capitano che somiglia a una sfida al mondo, “io ci sono, esisto, affronto l’impresa titanica che il destino mi ha messo davanti”. E nonostante questa sorte crudele, la fatica e le torture, per tutto il film Seydou resta un adolescente che insegue i propri sogni, non molto diverso -pur con le dovute differenze- da quei ragazzi italiani che, per realizzare le loro aspirazioni, tra gli anni ’80 e ’90 si trasferivano in massa a Londra, finendo a lavorare nei Mc Donald per poche sterline.
Se è vero che “Io capitano” è un film di realtà, che affronta con accuratezza il tema dell’emigrazione clandestina dal punto di vista dei migranti, è altrettanto vero che Matteo Garrone non ha rinunciato a impreziosirlo con alcuni tocchi di surreale poeticità -nel corso della traversata a piedi del deserto e durante la detenzione in Libia- che non a caso scaturiscono dai momenti forse più cupi vissuti da Seydou e che esemplificano la grande capacità del regista di ricorrere a metafore visive intense, che attingono al patrimonio dell’immaginario.




La compiutezza formale della pellicola, arricchita proprio da questa potenza immaginifica, non a caso è stata premiata all’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con il Leone d’argento alla regia e il Premio Marcello Mastroianni per l’attore emergente a Seydou Sarr e ora, dopo essere stato candidato al Golden Globe come Miglior film straniero, “Io capitano” concorre nella stessa categoria al Premio Oscar.
Manca ormai poco alla cerimonia di assegnazione, che si terrà domani al Dolby Theatre di Los Angeles, e cresce la fibrillazione per quella che potrebbe essere la definitiva consacrazione della pellicola di Garrone; di certo, l’Italia è pronta a fare il tifo per “Io capitano” nel corso di quella che si preannuncia come una lunga notte all’insegna dei sogni sul grande schermo. Contrariamente agli ultimi anni, nel nostro paese sarà possibile vedere in chiaro e in diretta il red carpet e la cerimonia su Rai Uno e Rai Play nella notte tra il 10 e 11 marzo; per chi volesse vedere -o rivedere- il film di Matteo Garrone, invece, il titolo è disponibile su Sky Cinema e Now.
Per finire, un consiglio di lettura: per approfondire il tema del “viaggio della speranza” dei migranti attraverso il deserto libico da un punto di vista femminile, si segnala il fumetto “Etenesh, l’odissea di una migrante“ di Paolo Castaldi (BeccoGiallo Editore): pubblicato per la prima volta nel 2011 e ristampato nel 2023, rappresenta una lettura imprescindibile per chi ha amato “Io capitano”.
































