Jean ha un legame cosmico e viscerale con la natura, il richiamo ad essa come fonte della vita, una forza misteriosa.
Il suo è un gesto d’amore verso la natura; lo stesso uomo che egoisticamente ha sfruttato la terra, violentata e inaridita, senza prendersene più cura; ora gli dedica un intera esistenza con umiltà.
la modernità spegne l’amore per la vita, la sostituisce, ora merce da scambio.
La condizione dell’uomo è senza speranza. più o meno nello stato fisico e morale degli uomini delle caverne
Non hanno altro da fare che attendere la morte.
ad indicargli la fertilità del suolo è la terra stessa, musa ispiratrice.
Jean piantava semi di Quercia, ghiande. alberi; dove prima non c’era nulla, solo per amore.
Salvatore Manca: «Torno a Sassari dopo tanto tempo, sono qui grazie alle tante persone, esseri umani che oggi mi circondano e hanno contribuito a che questo potesse accadere. Questo lavoro parla di sentimenti, parla di amore, parla di gesti. È una piccola trasposizione del racconto di Jean Giorno, in cui si descrive un essere umano che dopo aver perso moglie e figlio in tenera età si isola dalla vita contemporanea e vive l’intera sua esistenza piantando semi di quercia. Il seme di quercia è nucleo attorno al quale c’è tutta l’energia della nostra esistenza. Ci credo sin da quando ho iniziato la mia attività, e con la maturità sono arrivato a questo progetto»
Domani è la Giornata Internazionale degli Alberi e il teaser dell’opera sarà lanciato online.
A breve lo start di una apposita campagna crowfounding.
Oggi “L’Uomo delle Querce”, suggestivo e forse unico progetto cinematografico e ambientale liberamente ispirato al famoso racconto di Jean Giorno “L’uomo che piantava gli alberi”, è stato presentato ufficialmente a pubblico e stampa in un incontro organizzato negli spazi della sala Angioy a palazzo di Provincia (Sassari).
Ideato e diretto dal regista Salvatore Manca – produzione Associazione culturale mater-ia -, L’Uomo delle Querce è patrocinato dai Comuni di Sassari, Ploaghe, Tempio, Luras, Ossi, Scano di Montiferro e dalla Provincia di Sassari. Al progetto hanno aderito le associazioni Wwf Italia, Lips Cult Lega Italiana Poetry Slam, Molineddu e Moviment’Arti. Il progetto ha il sostegno del Sandalia Sustainability Film Festival. Le riprese si sono svolte e si svolgeranno nel territorio del Comune di Ossi fra novembre 2017 e febbraio 2018.
Un’idea semplice e complessa, che nel suo raccontarsi e svilupparsi affida alle immagini, alla video arte, a varie forme di comunicazione e all’efficacia del linguaggio cinematografico il compito di innescare dinamiche di piena e consapevole coscienza ecologica e ambientale, puntando a sensibilizzare le giovani generazioni ad un consapevole, pieno e necessario rispetto ambientale. Un messaggio che può e deve arrivare a chiunque. L’utilizzo della video arte è funzionale al dare nuove chiavi d’accesso a patrimoni linguistici e letterari sardi, mediterranei, europei e mondiali, altrimenti relegati alla sola accademica orfani di una presa contemporanea.
Al tavolo sono intervenuti il regista, sceneggiatore e produttore dell’opera Salvatore Manca, la produttrice e coreografa Daniela Tamponi, Giovanni Salis nel ruolo di co-produttore, attore e delegato alla Cultura del Comune di Ploaghe, Bruno Petretto (attore) e Matilda Deidda (attrice). Moderazione dell’incontro affidata al critico e agente letterario Alessandro Marongiu. Nel corso dell’incontro è stato proiettato un teaser appositamente realizzato da Salvatore Manca, la cui voce narrante è di Matteo Gazzolo.
SINOSSI
“Titolo originale L’homme qui plantait des arbres, conosciuto anche come La storia di Elzéard Bouffier è un racconto allegorico di Jean Giono, pubblicato nel 1953.
È la storia di un pastore che, con impegno costante, riforestò da solo un’arida vallata ai piedi delle Alpi, vicino alla Provenza, nei pressi del villaggio di Vergons, nella prima metà del XX secolo. Il racconto è piuttosto corto – 3400 parole nella traduzione italiana.
La storia ha inizio nel 1913, quando il giovane narratore intraprende un’escursione a piedi sulle pendici provenzali delle Alpi. Il narratore finisce le scorte d’acqua mentre si trova in una vallata deserta e senza alberi, dove cresce solo lavanda selvatica, senza alcun segno di civilizzazione, eccetto un villaggio ormai abbandonato, con strutture diroccate e la fonte secca. Il ragazzo incontra un pastore assieme al suo gregge di pecore, che gli offre l’acqua dalla sua borraccia. Tale pastore viene descritto come un individuo piuttosto silenzioso, e ospita il giovane narratore nella sua casa. Nella giornata successiva il narratore lo segue nelle sue attività e scopre che lui pianta ogni giorno 100 ghiande e ne ascolta la storia: divenuto vedovo, aveva deciso di migliorare il luogo desolato in cui viveva facendovi crescere una foresta, un albero per volta. Il suo nome era Elzéard Bouffier, aveva cinquantacinque anni e, rimasto vedovo, si era ritirato in montagna e aveva piantato in tre anni 100mila ghiande e si aspettava che ne sarebbero nate 10mila querce.
Dopo questo incontro, il narratore combatte come soldato di fanteria nella prima guerra mondiale. Dopo il congedo, torna negli stessi luoghi nel 1920, sorprendendosi alla vista della trasformazione del paesaggio, con alberi ormai alti, non solo querce, ma anche faggi e betulle, nelle zone più umide. L’acqua scorreva nuovamente nei ruscelli una volta secchi, e la foresta raggiungeva ormai un’estensione di 11 km. Ritrova anche Elzéard Bouffier, divenuto apicoltore, che continua a visitare ogni anno. Elzéard Bouffier continua a piantare alberi e la foresta continua negli anni successivi ad estendersi. Le popolazioni vicine si accorgono della trasformazione, ma la attribuiscono a fattori naturali. Nel 1935 la nuova foresta viene visitata da una delegazione governativa e viene messa sotto la protezione dello Stato. Dopo la seconda guerra mondiale, in seguito alla trasformazione del paesaggio, anche il villaggio abbandonato viene nuovamente popolato e sorgono nuove fattorie e coltivazioni nei dintorni, e la gente in zona deve gran parte della sua felicità a Elzéard Bouffier. Il racconto si conclude con la notazione della morte serena in una casa di riposo di Elzéard Bouffier nel 1947.
Il racconto è così toccante che molti lettori hanno creduto che Elzéard Bouffier fosse un personaggio realmente esistito e che il narratore fosse Jean Giono stesso, e che quindi la storia fosse in parte autobiografica. Infatti si suppone che l’autore abbia vissuto proprio nel periodo in cui è ambientata la narrazione”.