I talenti sardi che vivono e lavorano all’Estero raccontano le loro storie e ognuno di loro fa dieci proposte operative e concrete per migliorare. La Sardegna li ascolterà mettendo a sistema esperienze e curricula d’eccezione? Li considererà ancora suoi figli, rivedendo se stessa come una grande madrepatria globale de su disterru?
Forse si, almeno per un giorno. Sabato 30 novembre a Cagliari presso la sala della Fondazione di Sardegna, in via San Salvatore da Horta 2, a partire dalle ore 10:30, sarà presentato il “Decalogo dei talenti sardi all’estero”, rapporto periodico redatto a cura dell’Istituto Fernando Santi. Si presentano: una pubblicazione, materiali video e la presenza dal vivo di un campione selezionato di espatriati che, con le loro stesse voci, potranno accennare alle loro biografie e fare proposte pragmatiche per risolvere alcuni dei problemi dell’isola.
Dopo i saluti istituzionali, sono previsti gli interventi del presidente nazionale del Santi, Pierpaolo Cicalò, e del responsabile culturale del progetto Giuseppe Corongiu. Si tratta del secondo rapporto presentato in pochi anni dall’associazione di tutela intitolata all’illustre sindacalista, esponente di spicco del socialismo italiano e della CGIL.
Nel documento, che verrà distribuito gratuitamente, sono raccontate diciassette storie diverse con le relative proposte di cambiamento per la Sardegna.
Dopo la proiezione di una serie di testimonianze video è previsto l’intervento di Lulay Melis (adolescente originaria di Asuni e proveniente dalla Svizzera), Tiziana Corda (accademica esperta di romanticismo tedesco nell’università di Berlino), Genri Fais (organizzatore culturale e terapeuta proveniente anch’egli dalla Svizzera) e Michela Venturi (manager di una casa farmaceutica danese). Emblematica la presenza di Simone Onnis, musicista, che si divide tra la sua città natale Quartu Sant’Elena e la città di Ronda in Andalusia e quella di Ilse Atzori, poetessa e esperta dell’arte del tappeto, nata in Germania da lavoratori sardi e poi rientrata a Isili, comunità di cui oggi è assessore comunale alla cultura.
Ma le storie indagate dal Decalogo nel biennio si dipanano anche in Spagna, Catalogna, Stati Uniti, Svezia, Polonia, Francia, Argentina e altri luoghi del mondo dove risiedono gli expat sardi. Un ventaglio di esperienze e identità multiformi che servono a rappresentare la complessità di un mondo in crescita esponenziale negli ultimi anni. Un fenomeno inarrestabile che sta cambiando la storia della nostra isola, o forse che rischia di bloccarne per sempre il cambiamento.
Del trasferimento all’estero di molti sardi, giovani e non, si parla poco o niente, e a volte in maniera superficiale, eppure è un processo di proporzioni enormi. Non perdiamo solo forza lavoro e produttori di PIL, ma rischiamo proprio di impoverirci ulteriormente dal punto di vista culturale e identitario se non cambiamo l’idea fondante del nostro stare insieme come nazione, come popolo. Dobbiamo ripensarci, rivederci con nuovi occhi, altrimenti ci ridurremo ad essere una semplice espressione geografica. Lasciare da parte le utopie del rientro, i sentimentalismi del ritorno. Dobbiamo invece accettare l’idea di una nuova comunità sarda globale nella quale non è importante tanto la terra che hai sotto i piedi, ma piuttosto quella che hai in testa. Dobbiamo favorire il viaggio continuo, la circolarità, la restituzione delle conoscenze acquisite.
Il Decalogo è fatto di storie e di proposte. Cerca di tenere insieme ciò che si sta disarticolando. Sono narrazioni propositive utili a chi va e a chi resta: ci raccontano di un popolo disperso nel pianeta che vuole però continuare a esistere con una madrepatria che ascolta la narrazione della diaspora, de su disterru. E con i disterrados che propongono come migliorare la terra di origine.