La Sardegna, terra di antiche tradizioni e sapori autentici, è celebre non solo per la sua pregiata produzione enogastronomica, ma anche per la sua secolare arte dolciaria.
Grazie a pochi ma raffinati ingredienti, sapientemente lavorati, prendono infatti vita dolci squisiti, dal gusto inconfondibile, preparati a regola d’arte.
Tra le tante delizie tipiche dell’Isola spiccano i “gueffus”: piccoli bocconcini zuccherati dall’aspetto allegro e accattivante e dalla bontà irresistibile.
Questi dolcetti di forma sferica si distinguono per un soffice impasto umido a base di mandorle – una delle materie prime protagoniste di numerosi dolci tipici sardi, come amaretti, papassini e torrone -, per una copertura di zucchero semolato e, soprattutto, per essere avvolti in foglietti di carta velina colorata con i bordi sfrangiati, chiusi come caramelle.
Probabilmente, anche questo curioso involucro ha contribuito a rendere i gueffus delle prelibatezze adorate da grandi e piccini, da sempre presenti non solo in occasione delle feste ma anche nelle cerimonie, in particolare battesimi, cresime e matrimoni.
L’origine di queste praline è sicuramente molto antica, ma rimane avvolta nel mistero.
Denominati non solo gueffus, ma anche guelfus o guelfos, una delle ipotesi più accreditate lega il loro particolare nome all’epoca della dominazione spagnola, risalente alla prima metà del Trecento. Si ritiene, infatti, che il termine gueffus derivi dalla parola spagnola “huevos”, che significa “uovo” e richiamerebbe proprio la tradizionale forma ovale di questi dolcetti.
Un’interpretazione suggestiva fu proposta anche dalla compianta scrittrice sarda Michela Murgia. Osservando che i bordi sfrangiati della carta velina che avvolge le gustose palline zuccherate ricordano la merlatura delle torri dei castelli medievali, nel suo romanzo “Accabadora” aveva collegato il nome gueffus alla casata dei Guelfi, cioè i guerrieri medievali che sostenevano il Papa contro l’imperatore. Tuttavia, la stessa Murgia aveva poi ammesso: “Poiché la mia interpretazione letteraria dell’etimologia dei gueffus in Accabadora continua ad avere molto successo, mi è doveroso avvisare gli incauti che si tratta di una pura invenzione letteraria”.
Un’altra teoria li lega al Conte Guelfo della Gherardesca, figlio del Conte Ugolino, che prima del 1270 sposò Elena, figlia del re Enzo di Sardegna. Tuttavia, all’epoca lo zucchero era raro e prezioso, dunque il mistero rimane.
La tesi più plausibile deve essere perciò considerata quella che attribuisce l’invenzione di queste dolcissime leccornie direttamente al popolo sardo. Quel che è certo è che i gueffus sono stati inseriti dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della regione Sardegna.
Le varianti locali
Nelle diverse zone dell’Isola è possibile assaporare varianti localidi questi dolcetti. Le differenze riguardano principalmente la dimensione e gli ingredienti utilizzati nella loro preparazione. In particolare, nel comune di Ozieri, in provincia di Sassari, i gueffus sono conosciuti come “sospiri”, nome che fa riferimento ai tormenti degli innamorati, visto che l’amore fa sospirare. In passato questi pasticcini erano anche detti “dolcetti della sposa” e venivano preparati in occasione di fidanzamenti, matrimoni o per celebrare altri eventi importanti, come la nascita di un bambino.
Pur essendo avvolti nella carta colorata, i sospiri differiscono dai gueffus per la forma, più schiacciata e meno tondeggiante, e per l’aggiunta di miele all’impasto di mandorle, oltre che per la copertura, che consiste in una glassa bianca.
Una copertura diversa dallo zucchero granulato caratterizza anche un’altra varietà di gueffus, i “gueffus incappaus”, ricoperti di glassa reale. Tipici della Barbagia sono infine i “bucconettes”(i bocconcini), preparati con un ripieno di nocciole invece che di mandorle.
La ricetta
La preparazione dei gueffus originali si basa su una ricetta che prevede l’utilizzo di poche materie prime fondamentali. Ingredienti per 25/30 praline:
- 300 g di mandorle;
- 250 g di zucchero semolato;
- 100 ml di acqua;
- 2 cucchiai di acqua di fiori d’arancio;
- 3 cucchiai di liquore, in genere il maraschino (facoltativo);
- una scorza di limone grattugiato.
Il procedimento è semplice: per prima cosa, è necessario pelare le mandorle e portarle ad ebollizione per cinque minuti, in modo da poterle così tritare finemente. In un pentolino, versare l’acqua, lo zucchero, l’acqua di fiori d’arancio, la scorza di limone e, se si desidera, il liquore, mescolando e facendo cuocere per 5 minuti. A questo punto, aggiungere le mandorle tritate e cuocere ancora il tutto per qualche minuto fino ad ottenere un composto omogeneo. Lasciar raffreddare l’impasto, quindi formare con le mani delle piccole palline, cospargerle con altro zucchero semolato e sistemarle su un piano per farle asciugare. Infine, avvolgerle in fogli di carta velina colorata, sfrangiando i bordi con le forbici.
Ed ecco dunque che queste piccole bontà sarde sono pronte per essere assaporate nelle occasioni più speciali, regalando un’esperienza unica fatta di momenti di gioia, tradizione e gusto che racchiudono la storia e il patrimonio culinario dell’Isola.