Un grande portone di legno, un batacchio battente risalente all’800 con cui bussare. Ad aprire, una guida esperta ed appassionata che spalanca le porte di quella che un tempo era la casa dei suoi genitori, pronto ad essere il conducente di un viaggio con una destinazione molto lontana, il 1917. È la Casa Campidanese “Lai – Atzeni” e la guida è l’attuale proprietario Ottavio Lai, figlio dei primi proprietari, Carmelo Lai e Maria Assunta Atzeni, di cui la casa porta i nomi.
Il signor Ottavio, aiutato dal figlio Paolo e dalla nuora Francesca, cura e mostra ai visitatori questa tipica casa campidanese, situata in una stradina del centro storico del comune di Monserrato, in provincia di Cagliari. Fatta di mattoni di fango e paglia con una copertura internamente in canne e manto ed esternamente in coppi sardi, la casa è stata trasformata in un museo etnografico che raccoglie oggetti e tradizioni di arti e mestieri dell’epoca nel Campidano, la maggior parte appartenenti alla stessa famiglia, altri acquisiti grazie a donazioni.
La mostra, che viene riallestita periodicamente per tenere sempre viva la curiosità di vecchi e nuovi visitatori, è articolata in diversi ambienti, a loro volta suddivisi in caratteristici angoli.
IL GIARDINO. Come è da tradizione nelle case campidanesi, una volta varcato il portone del museo si fa subito ingresso nel giardino su cui affacciano tutte le stanze, attraverso un porticato, “Su procciu”, dove è posizionato un carro di cavallo del 1930, con una botte di legno per il vino e un tavolino di legno dove ci si sedeva per godere del tepore del sole nei mesi estivi. Poco di fronte c’è il caratteristico angolo del pescatore, con un’ancora antichissima in ferro battuto, reti e vecchi remi. Poi l’angolo dell’agricoltura, con gli utensili che si utilizzavano nei campi, in particolare una macina per grano che veniva messa in funzione dall’asinello e i mezzi con cui si spostavano i contadini, la bicicletta e, in tempi meno lontani, il motorino.
IL MAGAZZINO. La prima stanza è “Su magasinu”, che racchiude tutti gli strumenti utilizzati per lo svolgimento di altri vari mestieri. Sono presenti l’angolo del fabbro con i suoi attrezzi, quello del pastore con i contenitori del latte per fare la ricotta e i formaggi, l’angolo del grano con gli attrezzi per la semina e la mietitura, e l’angolo viti-vinicolo con tre botti in legno per il vino e le ceste per la vendemmia. Leggermente separato, l’angolo del bottaio e del maestro dei carri, dedito alla costruzione dei carri dei buoi.
LA STANZA MINESTRONE. Il secondo ambiente del museo viene definito “minestrone” proprio perché racchiude vari oggetti che raccontano diversi spaccati di vita. L’angolo del bambino, con i giocattoli, le marionette, i libri sullo stile latino, sul galateo e sul catechismo, la cartella di cartone per la scuola e il grembiule col fiocco rosa da prima elementare. L’angolo dedicato all’arte del barbiere, il mestiere di Ottavio Lai, con i rasoi a mano e la brillantina Linetti degli anni ’50, ancora con il suo inconfondibile profumo. Per concludere l’angolo del militare con la divisa dell’Aeronautica militare di Ottavio, i cappelli militari, un manifesto in onore dei caduti, dispersi o mutilati di Monserrato della Prima Guerra Mondiale e una radio da campo con cornetta e cuffie.
IL LOGGIATO. Di nuovo all’esterno del museo troviamo “Sa lolla”, il loggiato tipico delle case campidanesi, arricchita con l’angolo del calzolaio e gli accessori per fabbricare le scarpe, l’albero dei ricordi con foto di persone o avvenimenti, la carda, ossia il macchinario per cardare la lana, il lavabo per lavarsi, la macchina per cucire Necchi e le launeddas.
LA CUCINA. “Sa coxina” è la cucina originale della casa, ancora col soffitto in canne del 1917. Il tavolo, definito “sa mesa de fai su pani”, era quello utilizzato proprio per impastare il pane, apparecchiato come si faceva in quei tempi per i ceti abbastanza agiati, con posate di alpacca, coppe e bicchieri. C’è un frigorifero dell’epoca, rivestito in zinco, dove venivano messi paglia e ghiaccio, un curioso utensile per grattugiare il ghiaccio e realizzare la granita, la cosiddetta “sa carapigna”, una piattaia dove si riponevano pentole, coperchi e gli spiedi da esposizione e rivestiti con carta da dolci, i cestini sardi. Completano la stanza una cucina a carbone col fornello e appesi gli spiedi usati, e un camino con sopra affissi diversi ferri da stiro e uno spruzzatore a pompetta di insetticida.
LA SALA DA PRANZO. Il salotto della casa, “s’apposentu bonu”, conserva ancora pareti decorate a mano con dettagliate fantasie floreali e un arredamento tipico, con un tavolo rotondo, apparecchiato con un servizio in porcellana e oro zecchino, da thè o caffè, e 12 sedie in paglia colorata raffiguranti il simbolo dell’amore eterno, ossia le fedi nuziali. Esposti nella sala ci sono tanti oggetti degli anni ’30, due macchine fotografiche, i binocoli per osservare le corse dei cavalli, una macchina da scrivere Mercedes, il grammofono, una radio e un telefono. All’interno di una vetrina è racchiuso un vestitino da battesimo chiamato “Sa bambina”, del 1927. Non manca l’angolo della lettura, con libri di storia, i libricini delle cantade, tanti periodici sull’agricoltura e un caratteristico passaporto di coppia, il doppio passaporto degli originari proprietari.
LA CAMERA DA LETTO. Separata dalla sala da pranzo solo da una tenda, l’ultimo ambiente della casa è la camera da letto, “S’apposentu e lettu”, con mobili in legno di ciliegio risalenti a metà ‘800, una culla a dondolo, l’angolo della preghiera con l’inginocchiatoio di fronte a due Sacro Cuore e Sant’Antonio da Padova, una toilette d’epoca. Appesa sul muro, una coda di cavallo dove si appendevano i pettini.
Il viaggio all’interno della casa museo si conclude per i visitatori proprio dove era cominciato, nel cortile, con una degustazione di ciambelle sarde e un bicchierino di moscato, senza dimenticare di condividere in un apposito diario le sensazioni provate respirando il clima in cui si viveva più di cento anni fa, proprio come ben ricorda lo slogan della casa: “esiste un luogo dove il tempo si è fermato, questo luogo è la Casa Campidanese Lai – Atzeni”, grazie al signor Ottavio, Paolo e Francesca.