Concluse le feste natalizie eccoci a gennaio, un mese ideale per trascorrere una serata vicini al tepore di un caminetto gustando in compagnia un pasto caldo e gustoso; e se la pizza, ad esempio, è una delle scelte più gettonate, la tradizione culinaria sassarese riscopre anche un piatto sconosciuto nella stragrande maggioranza dell’Isola: la fainé. Si tratta di una focaccia salata ottenuta da una miscela di quattro ingredienti: farina di ceci, acqua, olio e sale.
La datazione relativa all’inizio del consumo di questo prodotto, in città, è dubbia: c’è chi sostiene che Sassari la conosca dal ‘700 o coloro che più realisticamente indicano la fine dell’’800, se non il secondo dopoguerra, come periodo di diffusione di questo piatto nel Capoluogo turritano. I primi forni di cui si ha memoria sono quello di via Usai (ancora in attività) e quello di via Luzzatti (chiuso da tempo). In entrambi i casi i primi proprietari erano liguri: gli Ottonello in via Usai e tale “Baciccia” (soprannome) in via Luzzatti.
Un fatto, quest’ultimo, che non ha nulla di casuale perché la fainé sassarese è in realtà una rivisitazione della farinata genovese. Sassari, dal Medioevo fino a tutto il ‘900, ha mantenuto rapporti commerciali vivissimi col capoluogo ligure e il suo sviluppo come realtà urbana vede come tappa fondamentale il 1294, quando divenne una Repubblica confederata proprio a Genova; ed è a quest’ultima e alla sua storia, ricca di avvenimenti di assoluto rilievo, che occorre rifarsi per rintracciare le origini della farinata. Sembra plausibile ritenere che il consumo del piatto tipico risalga ad un arco temporale che va dall’XI al XIV secolo, periodo d’oro per la Repubblica genovese e per la sua egemonia sui traffici commerciali mediterranei.
Ma come nasce la farinata in quel di Genova? È abbastanza intuitivo ritenere che tale pietanza abbia origine da una tradizione culinaria in cui i ceci erano molto apprezzati, per il gusto ma anche per la capacità di conservazione; ma si sa che spesso tradizione e leggenda si incontrano ed è così che sull’origine della farinata si sono diffusi vari miti, due dei quali sono forse i più noti. Il primo collega la nascita della farinata alla Battaglia della Meloria (1284) che vide Genova sconfiggere il nemico pisano; si narra che le galere genovesi affrontarono una tempesta che fece rovesciare le riserve di cibo: i barilotti di ceci e quelli di olio si inzupparono di acqua salata e, scarseggiando i viveri, fu data ai marinai quella purea dall’aspetto poco invitante. Per rendere quel pasto più gradevole furono lasciate le scodelle con la purea al sole e il risultato fu una sorta di frittellina; ritornati a Genova la scoperta fu affinata dando vita all’attuale farinata di ceci. Il secondo mito invece si lega a tale Guglielmo di Pegli, console genovese a Famagosta nel 1277. Quest’ultimo, ritornando nella sua terra natale e trovandola in preda alla carestia, donò alla sua gente 80 giare di ceci che aveva sequestrato da un barcone saraceno incontrato durante il viaggio di rientro. I ceci furono macinati e l’impasto ricavato da quella farina, non prestandosi ad assumere la forma di una pagnotta, fu versato e cotto all’interno degli scudi saraceni; il risultato fu una sorta di focaccia sottile dalla forma rotonda.
Dal Medioevo questa prelibatezza si è poi diffusa in varie parti d’Italia e del mondo venendo col tempo accolta e avvertita come parte della propria cultura e della propria tradizione; Sassari ne è un chiaro esempio. Dalla vendita tramite i forni o mediante gli ambulanti e i loro caratteristici carretti a pedali, si è passati a ristoranti che fanno della fainé il loro piatto forte o a pizzerie che hanno inserito nei loro menù questa antica pietanza. Anche la ricetta tradizionale ha subito alcuni aggiornamenti e dalla fainé classica con una spolverata di pepe sono emerse numerose varianti, tra cui quella con salsiccia e cipolle che sembra avere riscosso il successo più ampio.
D’altronde, proprio questa capacità di adattamento a nuove preferenze e a nuovi gusti, ha fatto sì che quella frittellina di ceci scaldata al sole su una galera genovese sia ancora sulle nostre tavole a stuzzicarci l’appetito.