In questa particolare estate del 2020, in cui l’Italia cerca faticosamente di risollevarsi, è la Sardegna a far parlare di sé, e non per il coronavirus.
L’Isola si ritrova catapultata nel passato, a dover fare i conti con chi ha sempre descritto il suo entroterra, la Barbagia, come un luogo impervio, terra di banditi e sequestri.
A Orgosolo, il paese museo diventato un’attrazione turistica per i suoi murales e il Supramonte selvaggio, ritorna a movimentare queste calde giornate chi, il Supramonte, lo conosce come le proprie tasche: Graziano Mesina.
L’ex primula rossa, il re di quell’era del banditismo sardo che sembrava ormai definitivamente archiviata, è di nuovo in fuga dal carcere, che si sta rispalancando per lui all’età di 78 anni (di cui 40 vissuti in cella), e dalla prospettiva di trascorrere dietro le sbarre gli ultimi anni che gli restano da vivere, proprio come ha vissuto lì i primi anni della sua giovinezza.
Aveva appena 14 anni “Gratzianeddu” quando, nel 1956, dopo essere diventato solo due anni prima orfano di padre, fu trovato in possesso di un fucile rubato calibro 16 e fu così arrestato per porto abusivo d’armi, ottenendo in seguito il perdono giudiziale.
Nel 1961, a 19 anni, in un bar di Orgosolo, ferí con dei colpi di pistola un pastore che aveva accusato la famiglia Mesina di una serie di reati. Fu così condannato a 16 anni di carcere. Cominciarono i suoi tentativi di evasione (ben ventidue, di cui dieci riusciti). La più rocambolesca fu quella in cui, col compagno di cella, riuscì a scappare dal carcere San Sebastiano di Sassari calandosi da un muro alto ben 7 metri, fuggendo verso Ozieri con un taxi che lo aspettava di sotto.
Seguì poi la stagione dei sequestri di persona e di un omicidio, commesso per vendicare la morte del fratello, che gli costarono altri 29 anni di carcere.
Nel corso dei decenni la storia giudiziaria di Mesina si contrappose alla popolarità che acquistò e che lo fece considerare da molti un mito. Le cronache rosa raccontarono i suoi amori durante gli anni di latitanza, e divenne famosa la sua passione per il Cagliari di Gigi Riva. La sua figura controversa stregò molti personaggi illustri, soprattutto il giornalista Indro Montanelli, che invocò per lui la grazia. Fu però il giudice Falcone, allora Direttore generale degli affari penali del Ministero della Giustizia, a dire di no, nel ’91, al Presidente della Repubblica Cossiga.
Nel ’92 ottenne la libertà condizionale e fu trasferito in provincia di Asti. Proprio in quell’anno, partecipò come mediatore al sequestro di Farouk Kassam, avvenuto a Porto Cervo. L’anno dopo gli fu revocata la semilibertà e restò in carcere fino al 2004, quando il Presidente della Repubblica Ciampi gli concesse la grazia. All’allora ex Ministro della Giustizia, Castelli, che controfirmó il provvedimento, promise di rigare dritto. Cercò di cambiare vita e inizió a fare la guida turistica proprio nel Supramonte. Ma nel 2013 fu condannato a 30 anni e incarcerato per traffico internazionale di droga. Scarcerato per decorrenza dei termini nel 2019, con obbligo di dimora ad Orgosolo, dove poteva circolare liberamente, giovedì 2 luglio, poco prima del verdetto della Cassazione che ha deciso il suo ritorno in cella, Gratzianeddu, che ormai tutti erano abituati a veder passeggiare per le strade del paesino, non ha fatto ritorno a casa della sorella, dove vive, facendo di nuovo perdere le proprie tracce.
La caccia all’uomo è così ripartita. Orgosolo è blindata. Nel mentre lo si cerca ovunque, nel suo Supramonte, nell’intera Sardegna, e si sprecano le ipotesi su una sua ipotetica fuga in Corsica per trattare la resa in cambio dei domiciliari, o in Tunisia, dove non esiste l’estradizione.
Mesina aggiunge così un nuovo capitolo alla sua tormentata esistenza. Una vita in fuga da un passato e da un futuro che, per ora, continuano a ripetersi.