Simone Piroddu, la giovane promessa sassarese della lotta italiana

Simone Piroddu. Foto Kadir Caliskan

Classe 2002: il prossimo novembre saranno 17 anni. Nonostante la giovanissima età, Simone Piroddu è già pluricampione nazionale e quest’anno anche europeo di uno sport per niente semplice come la lotta stile-libero. Se, infatti, ciascuna disciplina presenta le proprie difficoltà, la lotta libera somma alla necessaria prestanza fisica un’abilità tutta individuale nel gestire il contatto e le prese con l’avversario. Pochi secondi nei quali occorre studiare e capire la personalità di chi si ha davanti per aggiudicarsi l’incontro.

Abbiamo incontrato Simone al PalaSerradimigni di Sassari, un pomeriggio di agosto, per conoscere meglio alcuni segreti di questo sport da campioni. Chi meglio di Simone potrebbe raccontarceli? «La lotta libera ce l’ho nel DNA», precisa. «L’hanno praticata mio nonno, mio zio, mio padre, mia madre (che ha iniziato con il pattinaggio ma ha cambiato sport dopo aver conosciuto mio padre) e la mia sorellina. Era impossibile, per me, non praticarla. Tra l’altro hanno tutti riscosso ottimi risultati: mio zio Gianfranco si è classificato con buone posizioni agli europei e ai mondiali, mio nonno, mio padre e mia madre agli italiani. La mia sorellina ha partecipato quest’anno agli europei.

Facile capire, quindi, come gli esordi di Simone siano stati molto naturali. «Ho cominciato quando avevo circa quattro anni, grazie a mio padre che mi portava in palestra e mi invogliava facendomi prendere parte ad alcune gare. Da lì in poi ho sempre avuto tutto il sostegno possibile. Le mie prime gare sono state negli italiani quando ero piccolino a Roma (in quell’occasione ottenni un bronzo) e negli internazionali disputati a Mozzanica. Vinsi contro francesi e ungheresi, un bel ricordo per me.»

Non si pensi, però, che prepararsi per le tante gare sia una passeggiata. «Intanto gli allenamenti variano sempre, perché la lotta ha bisogno di sviluppare e mantenere attive diverse qualità: la forza, l’elasticità, l’agilità. Si fanno quindi stretching, pesi, tecnica, esplosività, organico, parecchia resistenza nei circuiti. È un aspetto che mi piace tantissimo. Io mi alleno la mattina presto, mezzoretta di corsa alle 7:00, poi alle 10:00 con un’ora e mezzo circa di esercizi e di nuovo la sera alle 18:00, più o meno due ore. Accanto all’allenamento c’è poi un regime alimentare da seguire. Trattandosi di uno sport che prevede diverse categorie di età e di peso, sono costretto a seguire alcune diete soprattutto per essere performante nella mia categoria che è la 55 kg. Normalmente ne peso 64, quindi per essere performante a 55 devo iniziare circa un mese e mezzo o due mesi prima a regolare il cibo, mangiare pulito, evitare le schifezze.»

In effetti, come dicevamo in apertura, la lotta richiede molta disciplina perché, per battere l’avversario, non tutto è permesso. Cominciamo allora col capire come funziona questo sport per chi non lo avesse mai seguito. «La cosa più semplice è schienare l’avversario, cioè portare tutte e due le spalle per circa un paio di secondi a terra. Quando si portano le due spalle perfettamente a terra è finita. Poi ci sono i punteggi, più complessi da spiegare: possiamo dire che, a seconda della presa e delle cadute vengono attributi dei punti per ciascun lottatore. Se nessuno riesce a schienare l’altro, vince chi ha più punti.»

Un aspetto importante per chi gareggia, poi, è quello legato all’esplosività: «Con questo termine si indica l’atto di attaccare alle gambe il nostro avversario. Si deve essere rapidi perché in un secondo dobbiamo lasciare la nostra posizione (siamo fermi) e arrivare alle sue gambe senza quasi neanche farci vedere, così da non dare il tempo di difendersi. Per questo si dice che, in un attimo, si deve “esplodere”.»

Capita, talvolta, di dover fare i conti anche con chi non gioca proprio pulito. «Si, succede. Poco, ma succede. Può capitare che vengano eseguite delle leve, magari delle contro-articolazioni che non sono permesse perché ci si può far male seriamente, degli strangolamenti. In questi casi, comunque, non posso intervenire più di tanto. Posso solo sopportare finché l’arbitro non agisce e tutt’al più chiamarlo io.»

Non possiamo quindi fare a meno di chiederci quale sia, in un simile turbinio di emozioni, lo stato d’animo di chi si appresta a salire sul tatami, il tappetino sul quale si svolge la lotta. «È un po’ difficile da rendere in parole. Si potrebbe dire che, nei confronti dell’avversario, si prova rispetto ma anche rabbia perché si tratta pur sempre di uno sport da combattimento ed è necessario essere un po’ cattivi. È importante non avere paura di nessuno ma rispetto di tutti. E poi si pensa sempre ai sacrifici fatti in palestra, durante la preparazione, quindi si cerca di lottare al meglio e di portare a casa la medaglia. O almeno ci si prova.»

Abbiamo ancora qualche riga per scoprire Simone nel privato: com’è, cioè, dopo aver portato a casa una nuova medaglia. E anche per chiedergli la sua ricetta del successo. «Mi piace uscire con gli amici, usare la mia moto, andare a fare un giro sulle strade. Ogni tanto mi piace anche andare a mangiare fuori, nei periodi in cui non sono a dieta. Il mio piatto preferito rimangono però le lasagne di mia mamma. Quanto al successo, arriva se ci sono serietà, costanza e tanti sacrifici».

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