In queste pagine affrontiamo un argomento troppo spesso ammantato di pregiudizio, sul quale si arriva a conclusioni talvolta affrettate e sovente tirate da poca conoscenza. Piero Manzanares, Presidente dell’Associazione Culturale Sardinia Cannabis, ci aiuta a capire meglio una tra le piante più discusse del momento, raccontandoci proprietà, impieghi e possibilità di lavoro offerti dalla canapa. «L’Associazione nasce con l’intento di informare», esordisce. «La maggior parte delle persone non conosce esattamente la pianta: già guardando la foglia pensano si tratti di droga quando, in realtà, la foglia è per lo più un fatto di immagine e non contiene neppure il principio attivo.»
L’idea di Piero per una coltivazione normata della canapa in Sardegna nasce qualche tempo fa, quando ancora una legge specifica non c’era. «Il procedimento consisteva nel fare un’autodenuncia alle forze dell’ordine e iniziare a coltivare, per uso industriale, una delle tipologie iscritte al catalogo europeo: c’è infatti un catalogo che comprende tante varietà, più di 60, ma il numero cambia di anno in anno tra nuovi inserimenti e cancellazioni. Io ho coltivato quella denominata Futura 75: è una varietà che cresce bene nel nostro clima. L’ho fatto insieme con un amico che aveva un’impresa agricola.»
Da qui all’allargamento dell’attività il passo è stato breve. «Abbiamo coinvolto agricoltori un po’ in tutta l’isola e abbiamo seguito un corso alla Business Summer School di Rumundu, a Porto Conte. Il corso è stato fondamentale per entrare in un’ottica di impresa e capire come prende corpo una filiera produttiva. Come Associazione abbiamo deciso di coltivare e far coltivare ai nostri soci solo determinate qualità di canapa. Abbiamo raccolto i semi, che vengono spremuti e dai quali si ottiene l’olio. Dallo scarto di questa spremitura, quindi dal seme macinato che si chiama panello, si procede con un’ulteriore macinatura e si ottiene la farina, anch’essa classificabile secondo diverse granulometrie.
Successivamente abbiamo portato la farina a un pastificio che potesse rappresentare al meglio i nostri ideali. Nell’adesivo e nel nostro logo c’è scritto 100% Made in Sardinia. Questo perché vorremmo che venissero utilizzati esclusivamente prodotti sardi. Canapa sarda, quindi, ma anche gli altri ingredienti complementari. Per fare cosa? Per esempio, al Pastificio Tanda&Spada abbiamo fatto fare i malloreddus. E abbiamo già stipulato un accordo con questo pastificio per una produzione prossima su più larga scala.»
Dicevamo di un catalogo europeo. In questo senso, infatti, una regolamentazione si è resa necessaria per distinguere le piante sulla base della loro “pericolosità”. «Quella che noi coltiviamo è la Cannabis Sativa L. dove la “L” sta per Linneo, lo scopritore, e non per “Light” come si crede di solito. Bene, questa specie comprende sia le piante con un alto dosaggio di THC che quelle con dosaggio più basso. Il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) è proprio il principio attivo cannabinoide al centro di tutte le discussioni. Nelle piante considerate illegali la sua percentuale si aggira fra 5 e il 7%. Per legge non può invece sforare lo 0,6%. Le nostre piante ne contengono uno 0,2%. In questo senso la legge è comunque soggetta a modifiche sulla base di diverse spinte. Ricordiamo che, in Italia, le principali leggi di riferimento sono la 309/90 e la 242/2016.»
Non possiamo esimerci, a questo punto, dal chiedere a Piero come sia nato questo suo interesse verso una materia tanto spinosa e, soprattutto, verso una pianta legalmente controversa. «Io ne faccio uso perché possiedo un certificato terapeutico che me lo consente. Conosco, inoltre, le difficoltà che i pazienti incontrano nel reperirla. Ne ho avuto un’ulteriore prova con il caso di mio padre, che è morto quest’anno. Aveva un glioblastoma multiforme al cervello: un tumore maligno del quale non si conoscono ancora né le cause, né le cure. L’aspettativa di vita è di sei mesi, massimo un anno. E nel suo caso soltanto se si fosse sottoposto a un intervento senza alcuna garanzia, altrimenti gli sarebbero rimasti pochi giorni.
Dopo l’intervento, al quale sopravvisse, mio padre soffriva di crisi epilettiche per le quali i rimedi canonici prevedevano l’uso di Valium, un potente sedativo. Io già sapevo che la cannabis somministrata per le crisi epilettiche aveva successo e così, contattando una coppia di ricercatori italiani che vive e lavora a New York e una dottoressa che lavora a Madrid ho avuto un incoraggiamento su questa strada. In molti casi, ferma restando la chemio, gli esseri umani trattati con la cannabis per quella patologia mostravano un’aspettativa di vita superiore. A mio padre davo i biscotti fatti con burro di cannabis e l’olio per uso farmaceutico, che si somministra prendendo qualche goccia sotto la lingua. Non ha più avuto crisi epilettiche e neppure postumi da chemio come dermatite, sanguinamento gengivale, nausea, ecc. Dopo l’intervento è sopravvissuto per due anni e un mese. Così ho compreso anche la possibile utilità sociale di un’attività come questa. Certo non è garantito che tutti traggano beneficio, però vengo contattato da diverse persone tra le quali ricordo un signore colpito dal Parkinson che – mi ha detto – quando la assume sotto forma di tisana e la vaporizza smette di tremare.»
In questo senso, l’ultimo pensiero di Piero è rivolto ai proibizionisti. «La mancanza di informazione e le strumentalizzazioni sono l’aspetto veramente dannoso. Noi vogliamo colmare questo gap».