La Sardegna è una terra che possiede un ricco patrimonio di tradizioni intramontabili. Innumerevoli riti popolari e religiosi, uniti spesso a doppio filo con l’arte culinaria e la gastronomia dell’Isola, vengono conservati e tramandati da centinaia di anni, soprattutto nei paesi dell’entroterra barbaricino.
Esattamente qui, nella provincia di Nuoro, viene ancora custodito, ormai dalle mani di poche persone, il segreto della tecnica di preparazione di una delle paste più rare non solo dell’Italia ma del mondo, legata ad una vecchia tradizione religiosa ancora molto sentita: Su Filindeu.
Sull’origine del termine filindeu esistono varie tesi: potrebbe significare in dialetto “fili di Dio”, oppure potrebbe derivare dal termine in lingua araba fidaws, che significa “capello” e che avrebbe subito diverse trasformazioni dopo la conquista spagnola dell’Isola fino alla sua denominazione attuale.
Certo è che l’arte della preparazione di Su Filindeu risale a trecento anni fa e ricorre soprattutto in occasione del pellegrinaggio che si svolge il primo maggio e il 4 ottobre di ogni anno dalla Chiesa della Madonna della Solitudine di Nuoro fino al Santuario di San Francesco di Lula. Si tratta di una delle sagre campestri più caratteristiche della Sardegna, descritta anche nel romanzo “Elias Portolu” di Grazia Deledda, e a cui ancora oggi partecipano tantissimi cittadini devoti.
Secondo la leggenda, il santuario si trova vicino ad una grotta dove, verso la fine dell’Ottocento, si rifugiò un giovane bandito del borgo lulese accusato di omicidio e che invocò proprio San Francesco affinché lo aiutasse a dimostrare la sua estraneità al delitto. Sottoposto poi a processo e dichiarato innocente, costruì la chiesetta in segno di ringraziamento al Santo proprio nei pressi del luogo dove passò la sua latitanza. Da allora, ogni anno i fedeli nuoresi partecipano a questa processione di notte, percorrendo a piedi circa 30 km fino al Santuario. Una volta giunti a destinazione, i pellegrini trovano riparo e vengono rifocillati con una minestra cucinata proprio con Su Filindeu.
Questa storica pasta della tradizione sarda, dall’aspetto simile a spaghetti sottilissimi, viene creata con ingredienti semplici ma con una lavorazione lunga e complessa, che richiede una manualità sconfinata, tramandata generalmente di madre in figlia.
Il morbido impasto realizzato con acqua sale e semola di grano duro, viene lavorato pazientemente. Non ci sono regole precise, è solo l’esperienza che permette di capire il momento esatto in cui è pronto per essere trasformato in filamenti sottili.
All’impasto viene data la forma di un cilindro lungo e stretto che viene abilmente tirato tra le dita delle mani e, dopo essere stato ripiegato più volte su se stesso, viene diviso in tanti piccoli filamenti.
Ad ogni ripiegamento e tiramento, effettuato per otto volte, i fili di pasta raddoppiano di numero, diventando via via più sottili, fino ad ottenerne circa 256, finissimi come un capello: appunto i fili di Dio, “Su Filindeu”.
I fili così ottenuti vengono poi disposti, in tre strati, su un piatto rotondo fatto di foglie di asfodelo essiccate, in modo che la pasta non si attacchi al fondo e i fili restino distanti e paralleli. In ogni strato i fili vengono incrociati rispetto ai fili dello strato sottostante – un po’ come avviene per la preparazione di una crostata – formando una sorta di rete.
Infine, i filindeu così sistemati vengono messi ad essiccare al sole, in modo da compattarsi in un unico strato di pasta sottile.
Una volta che la pasta è secca, viene spezzata e messa a cuocere, principalmente nel brodo di pecora, a cui si aggiunge del pecorino fresco acido e, quando questo comincia a fondere, il piatto è pronto per essere servito.
Su Filindeu, che fa ormai parte del progetto “Presidi Slow Food”, per il recupero e la salvaguardia di piccole produzioni di eccellenza gastronomica italiana, è stato inoltre inserito dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Sardegna (PAT).
Ma per tutelare questa pasta sacra, che sopravvive da secoli e la cui tradizione rischia di andare perduta proprio a causa della complessità del metodo per il suo impasto, conosciuto ormai da non più di una decina di persone, il comune di Nuoro ha deciso di compiere un passo ancora più importante. Di recente Su Filindeu è stata iscritta nel registro delle De.C.O., ossia delle Denominazioni Comunali di Origine, per dimostrare l’origine locale del prodotto, stabilendo ingredienti e fasi di preparazione, ma soprattutto per valorizzarlo e renderlo ufficialmente patrimonio del luogo.