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Spese condominiali a carico di inquilini o proprietari? Tutto quello che c’è da sapere

di Redazione
14 Novembre 2025
in Economia & Impresa
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(Adnkronos) – Le spese condominiali sono uno degli argomenti che più spesso generano dubbi e controversie tra vicini: cosa rientra nelle spese comuni? Chi deve pagare quando c’è un inquilino? Come si ripartiscono i costi per l’ascensore, i balconi o i lavori di ristrutturazione? Ecco da parte di Immobiliare.it regole, eccezioni, casi pratici e strade per tutelarsi. 

Per spese condominiali si intendono i costi sostenuti per la gestione, la manutenzione e l’amministrazione delle parti comuni dell’edificio: pulizia e gestione, illuminazione scale, ascensore, riscaldamento centralizzato, assicurazione del fabbricato, portierato, ecc. Spesso si usano termini equivalenti come “contributi condominiali” o “quote condominiali”: in sostanza sono somme che ogni condomino è tenuto a versare in proporzione alla propria quota millesimale o secondo i criteri stabiliti dall’assemblea. 

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Le spese condominiali si dividono in: spese ordinarie riguardano la gestione quotidiana e il mantenimento delle parti comuni: pulizia, luci, scarico fognario, compenso amministratore, spese postali, da ripartire in base alla tabella generale; spese straordinarie: per interventi imprevisti o di ampio rilievo: rifacimento facciata, sostituzione impianti, adeguamenti normativi, opere strutturali. Di norma ripartite in millesimi generali, salvo approvazione in assemblea di criteri diversi (es. tabelle millesimali ascendenti, unità fisse, ecc.), purché motivati e votati dalla maggioranza richiesta (Art. 1136 C.C.). Una corretta distinzione è importante anche ai fini fiscali: alcune spese straordinarie possono accedere a detrazioni fiscali (esempio bonus facciate, ecobonus), anche se per beneficiarne è necessario che le spese vengano regolarmente deliberate. 

Le tabelle millesimali sono lo strumento fondamentale per la suddivisione delle spese tra i condomini: ogni unità immobiliare ha un ‘peso espresso in millesimi, calcolato in base a parametri come la superficie, vani, destinazione d’uso, esposizione, piano. Predisposte da un professionista (es. geometra, architetto, ingegnere), le tabelle permettono di ripartire equamente le spese, in base alla quota di proprietà comune. L’assemblea condominiale le approva e le allega al regolamento o al relativo verbale. Devono riflettere l’effettiva realtà fisica e funzionale dell’edificio, poiché in caso di errore, possono essere impugnate in sede giudiziaria. 

In linea generale, le spese vengono suddivise per quota millesimale: se un condomino detiene 100 millesimi su 1.000, paga il 10% delle spese comuni. Le spese ordinarie di pulizia, illuminazione, manutenzione corrente, amministrazione, vengono divise in base alla tabella millesimale generale. Le spese straordinarie, come il rifacimento del tetto, l’adeguamento degli impianti o lavori strutturali, possono richiedere ulteriori criteri o altri parametri specifici. 

Alcune spese sono soggette a suddivisioni in base all’uso (esempio acqua calda) o a piani fissi (esempio pulizia scale), anche se tali eccezioni devono essere previste in regolamento o deliberate in assemblea.  

Anche se la regola è la ripartizione in base ai millesimi, esistono delle eccezioni: uso effettivo esempio acqua calda, riscaldamento, suddivisi in base all’uso reale; pavimento o scale diverse alcuni condomini possono essere obbligati solo per una parte delle spese, se concorrono solo in determinati servizi; diverse destinazioni d’uso se una unità è adibita a uso commerciale e assume maggior usura o più utilizzo, si può chiedere una ripartizione maggioritaria; accordi tra condomini o regolamenti interni se deliberati validamente, anche con criteri divergenti, purché non contrari alla legge o all’ordine pubblico. Le eccezioni vanno sempre approvate in assemblea e devono risultare esplicite e motivate. 

Le quote condominiali possono comunque subire modifiche, soprattutto quando intervengono variazioni strutturali che alterano i rapporti di proprietà tra le unità. Sopraelevazioni, ampliamenti, fusioni di appartamenti o cambi di destinazione d’uso sono situazioni che, se comportano una variazione del valore proporzionale di almeno un quinto, rendono necessario aggiornare le tabelle millesimali. Anche nuove esigenze normative in materia di sicurezza, efficienza energetica o accessibilità possono spingere a rivedere i criteri di ripartizione, pur senza imporre obbligatoriamente una modifica delle quote. La digitalizzazione della gestione condominiale e l’accesso a incentivi fiscali come ecobonus o bonus facciate richiedono comunque una maggiore trasparenza nella documentazione e nella rendicontazione, così da garantire a tutti i condomini un riparto chiaro ed equo delle spese. 

La regola generale è che il proprietario risponde delle spese condominiali, ma l’inquilino sostiene i contributi per le spese di godimento se previsto dal contratto e dalla legge (per esempio quote relative al riscaldamento in uso o alla pulizia proporzionale se il contratto lo stabilisce). La distinzione concreta tra oneri a carico del locatore e dell’inquilino deve essere valutata caso per caso e spesso è regolata dal contratto di locazione o da accordi espliciti. 

Nello specifico, sono a carico dell’inquilino tutte quelle spese legate all’ordinaria amministrazione, all’uso del bene e al suo naturale deterioramento, cioè: utenze di acqua, luce, gas e consumi per aria condizionata e riscaldamento; pulizia; fornitura di servizi comuni del condominio; manutenzione ordinaria dell’ascensore. Spese condominiali a carico del proprietario di casa. Il proprietario, invece, è tenuto a sostenere le spese relative alla manutenzione straordinaria e a guasti fortuiti e occasionali, quali: manutenzione straordinaria di facciate e impiantistica; sistemazione o rifacimento del tetto dello stabile; installazione o sostituzione di cancelli e portoni; ristrutturazione o rifacimento di pavimenti, rivestimenti e intonaci; riparazione di porte, finestre, telai, caldaia e rubinetti; installazione dell’impianto tv. 

Il pagamento delle quote avviene in base alle scadenze stabilite dall’assemblea condominiale, che approva il bilancio preventivo e fissa le rate annuali. Di norma, il versamento avviene in più rate distribuite durante l’anno (trimestrali, bimestrali o semestrali), ma in alcuni condomìni si preferisce una rata unica annuale. Le scadenze vengono comunicate dall’amministratore, insieme all’importo dovuto, attraverso avvisi scritti o mezzi elettronici. Eventuali modifiche alle scadenze o richieste di pagamenti straordinari devono essere deliberate dall’assemblea e comunicate tempestivamente ai condomini. 

La normativa italiana prevede che i pagamenti delle spese condominiali avvengano con strumenti tracciabili, soprattutto quando superano determinate soglie stabilite dalla legge. Tra le modalità ammesse vi sono il bonifico bancario o postale, l’assegno, i pagamenti tramite carta di credito o debito e, entro certi limiti, anche il versamento in contanti. La scelta della modalità può essere concordata in assemblea, ma deve sempre rispettare le norme sulla tracciabilità introdotte per prevenire il riciclaggio e garantire trasparenza nella gestione. 

Il pagamento in contanti delle spese condominiali è consentito solo entro il limite previsto dalla normativa antiriciclaggio, che per il 2025 è fissato a 4.999,99 euro per singola operazione. L’amministratore che riceve un pagamento in contanti deve comunque rilasciare una ricevuta nominativa e registrare l’entrata nel rendiconto condominiale. Superato il limite, è obbligatorio utilizzare strumenti tracciabili. Alcuni regolamenti condominiali, per garantire una migliore gestione, vietano del tutto i pagamenti in contanti, imponendo esclusivamente metodi elettronici o bancari. 

Il bonifico bancario o postale rappresenta la modalità più utilizzata, poiché consente di avere una prova certa del pagamento e facilita la rendicontazione. L’uso dell’assegno non trasferibile garantisce anch’esso tracciabilità, sebbene sia meno pratico rispetto ai canali digitali. Le carte di credito e debito sono accettate da alcuni amministratori, soprattutto quando si utilizzano piattaforme di pagamento online. Sono sistemi che, oltre a garantire sicurezza, permettono di monitorare in tempo reale le entrate e riducono il rischio di errori o contestazioni. 

Le spese di installazione, manutenzione e riparazione dell’ascensore sono ripartite secondo i criteri decisi dall’assemblea condominiale, tenendo conto sia dei millesimi che dell’effettivo utilizzo. Per esempio, le spese di gestione ordinaria possono essere suddivise in base ai millesimi, mentre i costi legati all’uso (esempio energia) possono seguire criteri di consumo. Se non tutti i condomini hanno votato a favore dell’installazione di un nuovo impianto di ascensore, si tratta di un bene di comproprietà esclusiva appartenente cioè a coloro che l’hanno voluto e deliberato. Per tale motivo, le spese vanno ripartite pro quota fra tutti i comproprietari. 

In caso di sostituzione di un ascensore già esistente, le spese sono a carico di tutti i condomini e la ripartizione viene calcolata secondo quanto stabilito dall’articolo 1124 del Codice civile: il 50% per millesimi di proprietà e il 50% per altezza del piano. La differenziazione della ripartizione delle spese relative a un impianto ex novo o già esistente risiede nel fatto che tutti i condomini devono concorrere al corretto mantenimento degli impianti anche da parte dei proprietari degli immobili siti al piano terra che potrebbero avere la necessità di accedere al tetto. 

La manutenzione dei balconi è generalmente a carico del condominio quando si tratta di parti strutturali o di solaio, mentre le rifiniture esterne o le ringhiere possono seguire criteri diversi: in caso di ripartizione contestata, interviene la giurisprudenza per distinguere tra manutenzione straordinaria (condominiale) e riparazioni che gravano sul proprietario. 

Per i lavori straordinari, il Codice civile prevede criteri di ripartizione standard, ma l’assemblea può deliberare differenti criteri motivandoli adeguatamente (ad esempio per interventi che avvantaggiano solo alcune unità). È fondamentale la delibera scritta e la corretta verbalizzazione, perché da ciò dipende la legittimità degli oneri richiesti. 

Se un immobile o il condominio è sottoposto a sequestro preventivo o a gestione giudiziaria, la destinazione dei contributi condominiali e il soggetto che deve riscuoterli può variare: la normativa e le disposizioni giudiziarie stabiliranno a chi vanno pagate le spese e come gestire la contabilità straordinaria. In questi casi è opportuno rivolgersi a un avvocato o al custode giudiziario per chiarire adempimenti e responsabilità. In caso di separazione o divorzio, l’assegnazione della casa familiare non modifica automaticamente la responsabilità per le spese condominiali: il soggetto tenuto al pagamento resta chi è intestatario della proprietà, salvo diverse disposizioni giudiziarie o accordi fra le parti. La soluzione è spesso lasciata all’autonomia dei coniugi, che ovviamente possono accordarsi per definire la suddivisione tra di loro delle spese condominiali ordinarie e straordinarie. 

Chi acquista un immobile in condominio può essere chiamato a pagare i contributi non saldati dal vecchio proprietario relativi all’anno in corso e a quello precedente. Per evitare brutte sorprese, è consigliabile informarsi presso l’amministratore e, se necessario, trattenere dal prezzo di vendita l’importo del debito. Per quanto riguarda le spese straordinarie, è tenuto al pagamento chi era proprietario nel momento in cui l’intervento è stato deliberato. 

Anche i proprietari di appartamenti non abitati devono partecipare alle spese, a meno che non vi sia un accordo unanime tra tutti i condomini. Lo stesso vale per chi si disconnette dal riscaldamento centralizzato: potrà ottenere uno sconto, ma non essere completamente esonerato. Il regolamento condominiale può prevedere interessi di mora per i pagamenti in ritardo; in assenza di indicazioni precise, si applicano gli interessi legali. 

Il mancato pagamento delle quote condominiali comporta l’avvio di una procedura di recupero crediti da parte dell’amministratore, che può sollecitare il debitore con comunicazioni scritte e, se necessario, agire legalmente. 

L’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile prevede che, trascorsi sei mesi dalla scadenza, l’amministratore possa ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, senza bisogno di autorizzazione assembleare. In caso di persistenza del debito, è possibile procedere al pignoramento dei beni o alla sospensione di alcuni servizi condominiali non essenziali. Il diritto del condominio a richiedere i pagamenti si prescrive in cinque anni, a partire dalla data della delibera che approva la ripartizione. Per i contratti di locazione, invece, la prescrizione è di due anni per gli oneri a carico dell’inquilino. 

Tags: adnkronoscondominiocronacaeconomiaItaliaultimora
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