Gender gap: cos’è e qual è la situazione in Italia

La mancanza di equità sociale e professionale tra uomini e donne non è stata ancora sconfitta e, secondo i dati del report annuale del World Economic Forum, la strada da percorrere è ancora lunga

Gender gap. ? Adobe Stock | klyaksun

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Differenze di salario, condizioni di lavoro, presenza politica, opportunità educative e salute: sono i criteri che definiscono il cosiddetto “gender gap”. Il fenomeno identifica quel divario esistente tra genere maschile e femminile che ogni anno porta l’attenzione sulle condizioni di netta penalizzazione in cui vivono le donne di ogni Paese.

Olympe de Gouges nel 1971 scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, in cui esigeva il diritto di voto, di accesso alle istituzioni pubbliche, di libertà professionale e dei diritti di possedimento anche per le donne. Il testo rappresenta il primo documento giuridico e legale che chiede l’equiparazione della donna all’uomo invocando i principi di uguaglianza. Dalla Dichiarazione sono ormai trascorsi più di due secoli in cui si sono susseguite varie lotte e traguardi in parte raggiunti. Nonostante però i tempi cambino e avanzino ci sono aspetti della nostra società che continuano a rimanere ancorati al passato. In diversi Paesi, infatti, alcuni tra i diritti più essenziali delle donne sono stati “concessi” solo di recente. Un esempio è quello della Russia, in cui fino allo scorso anno erano ancora vietate al genere femminile alcune professioni (fra cui la guida dei mezzi pubblici come autobus, tram e treni) o la Gran Bretagna in cui, meno di dieci anni fa, è stato consentito alle donne della marina militare di prestare servizio all’interno dei sottomarini nonostante tante di loro avessero da tempo raggiunto le qualifiche necessarie per farlo.

Il World Economic Forum, che da più di un decennio tiene sotto osservazione il divario di genere, stila annualmente il Global Gender Gap Report con l’obiettivo di fornire un quadro sull’ampiezza e sulla portata del gender gap nel mondo. L’edizione del 2021 prende in esame 156 Stati, tra cui l’Italia, analizzando la condizione femminile secondo parametri legati a economia, politica, educazione e salute. Nel materiale (scaricabile qui) vengono approfondite nel dettaglio le condizioni di equità di ciascun Paese e viene redatta una classifica del divario di genere a livello globale. Secondo i dati, oggi gli ultimi posti sono occupati da Pakistan, Iraq, Yemen e per chiudere Afghanistan. Il primo Paese della classifica è invece l’Islanda (in cui dal gennaio del 2018 è entrata in vigore una legge che impone la parità salariale) seguita poi da Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia.

L’Italia occupa solo la posizione numero 63, registrando una forte disparità in termini di trattamento economico, di partecipazione politica e di sicurezza nel mantenimento del posto di lavoro. Al contrario, le opportunità a livello di educazione sono le stesse per uomini e donne e si nota, anzi, un numero più alto di laureate femmine rispetto ai colleghi maschi. Nel nostro Paese, inoltre, sembra che il mondo del lavoro tenda a favorire gli uomini nelle posizioni di management, per le professioni tecniche e quelle legali. Stando ai dati, la retribuzione per i lavoratori uomini è inoltre più alta di quella delle lavoratrici: si parla in questo caso del “gender pay gap” (divario retributivo di genere). È infatti pratica comune, e non solo in Italia, che le donne a parità di titoli, esperienze e mansioni guadagnino spesso meno degli uomini. Questa disuguaglianza nel nostro Paese però potrebbe presto finire perché, dopo un lavoro condotto dalla Commissione Lavoro e dal Governo, lo scorso 13 ottobre la Camera ha approvato all’unanimità il progetto di legge sulla parità retributiva tra uomo e donna. Ora il testo, che prevede l’istituzione di un attento monitoraggio sul territorio con tanto di sgravi o penalizzazione per le aziende, dovrà passare all’esame del Senato ed entro la fine dell’anno potrebbe diventare finalmente legge.

Secondo le statistiche dell’ultimo anno, la pandemia ha avuto un grave peso in tutti gli Stati perché ha contribuito al crollo della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Come hanno messo in evidenza anche alcuni dati dell’ILO (International Labour Organization) il Covid ha recato problemi a livello lavorativo in maniera maggiore al genere femminile in quanto la più forte necessità di cura tra le mura domestiche è stata scaricata soprattutto sotto la responsabilità delle donne. Una tra le categorie che ha più risentito dell’emergenza sanitaria è stata quindi una di quelle che già lavorativamente era più svantaggiata. Secondo il report del World Economic Forum, la pandemia ha inoltre allontanato di ulteriori 36 anni il momento in cui a livello mondiale si potrà giungere alla completa chiusura del divario di genere: le previsioni dicono che ora di anni ce ne vorranno ben 136.

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