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Esofagite eosinofila scambiata per depressione, cos’è e come riconoscerla

di Redazione
26 Novembre 2025
in Benessere & Salute
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(Adnkronos) – Difficoltà di deglutizione, bruciore, il cibo che fatica a transitare e rimane bloccato provocando un senso di oppressione al centro del petto, con la conseguenza che chi sperimenta il disagio comincia a prolungare i tempi del pasto o addirittura a non mangiare. L’esofagite eosinofila (Eoe) dà segno di sé in questo modo nei pazienti adulti. La malattia, “già conosciuta nel bambino e in precedenza considerata rara”, ha mostrato numeri in costante aumento negli ultimi 3 decenni, sia grazie alla maggiore consapevolezza sia a un effettivo incremento dei nuovi casi. 

Nel tempo si è visto come la prevalenza raggiunga in realtà il picco in età adulta, tra i 35 e i 39 anni, per poi diminuire dopo i 45 anni. Altro particolare: si stima che i maschi abbiano un rischio 3 volte maggiore di svilupparla. E’ anche per questo identikit così distante che i sintomi segnalati da una mamma di 50 anni sono stati inizialmente inquadrati come le ‘spie’ di una depressione piuttosto che come un campanello d’allarme di questa malattia infiammatoria cronica di tipo 2 che colpisce l’esofago.  

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La donna è riuscita a dare il giusto nome al suo disagio grazie all’intuizione di un giovane gastroenterologo dell’ospedale Sant’Andrea di Roma, Emanuele Dilaghi, che ha riconosciuto nelle sue parole proprio la Eoe arrivando a una diagnosi “oltre gli stereotipi”. 

È “un caso veramente limite, una storia particolarmente significativa – spiega all’Adnkronos Salute Bruno Annibale, super esperto di Eoe, ordinario di Gastroenterologia dell’università Sapienza di Roma e direttore dell’Unità operativa complessa Malattie apparato digerente e fegato del Sant’Andrea – anche perché questa può essere in qualche modo definita una malattia ‘nuova’, nel senso che i miglioramenti di conoscenza e soprattutto la possibilità di strumenti terapeutici di gestione hanno fatto sì che fosse più diagnosticata. Se prima era considerata una malattia rara oggi non lo è più, tanto che paradossalmente pazienti che prima usufruivano di esenzioni di ticket ora non ne usufruiscono più”.  

Ma cosa c’è alla base? “Si sviluppa un’infiammazione di tipo allergico che fa sì che si abbia difficoltà nella deglutizione – illustra lo specialista – e quindi le persone si adattano a non mangiare oppure ad avere dei pasti prolungati. Questo adattamento nel tempo è sottile, e la percezione che si ha di se stessi e del sintomo viene quasi considerata una naturale evoluzione, col rischio che poi, proprio perché non mangiando si sta bene, si prendano le persone per anoressiche o depresse”. Soprattutto all’inizio, poi, si osserva “una sovrapposizione con la sindrome da reflusso gastroesofageo, perché si può avere dolore, bruciore epigastrico retrosternale” e così l’Eoe “viene spesso viene considerata e trattata come un reflusso”. 

Mediamente “le persone perdono tra i 5 e i 6 anni” prima di arrivare alla diagnosi. E questo ritardo “è cruciale, tant’è vero che circa un terzo dei pazienti si presenta al pronto soccorso perché ha la sensazione di oppressione al petto, di aver deglutito un boccone che si è fermato, quello che chiamiamo bolo alimentare”. Per reazione “molti cambiano alimentazione e cominciano una dieta con cibi molto liquidi, morbidi. E se un genitore si accorge di questo particolare nel bambino, per le persone adulte è più difficile” che la cosa giunga all’attenzione di qualcuno. 

La malattia è principalmente causata da un’infiltrazione anomala di eosinofili nella mucosa esofagea, sebbene diversi altri mediatori dell’infiammazione di tipo 2 siano coinvolti nella patogenesi. Le prime descrizioni dell’Eoe risalgono al 1990. Oggi con l’aumento delle diagnosi e delle osservazioni degli specialisti il ritratto della malattia si è evoluto. L’Eoe è stata segnalata durante tutto l’arco della vita, dall’infanzia fino a quasi 100 anni di età, sia negli uomini che nelle donne, sebbene prevalga nel sesso maschile. Le stime attuali riportano tassi di incidenza fino a 20 ogni 100.000 persone all’anno, simili a quelli delle malattie infiammatorie intestinali. L’attuale prevalenza stimata è di oltre 1 persona su 1.000 nei Paesi occidentali e di 20 ogni 100.000 endoscopie superiori in Asia. I dati provenienti da studi basati sulla popolazione suggeriscono che l’aumento dell’incidenza potrebbe essere maggiore negli adulti che nei bambini, sebbene ciò necessiti di conferma. 

“Un elemento di un certo interesse, che ancora sfugge – continua Annibale – è che in genere queste persone hanno una comorbidità allergica piuttosto significativa, hanno asma, poliposi nasali, che sono correlate”. Il problema è anche che, “se non c’è attenzione e un ottimo campionamento istologico nell’esofago, che va fatto con multiple biopsie, la malattia non viene diagnosticata perché bisogna avere un numero di eosinofili per campo visivo elevato. Spesso magari vengono visti, ma non quantizzati e quindi viene sottovalutato il segnale”.  

E’ dunque importante accendere i riflettori sulla malattia, conferma l’esperto: “In Italia c’è un’associazione pazienti che cerca di diffondere informazioni e a maggio c’è anche una giornata internazionale per sensibilizzare sull’Eoe e implementare le conoscenze. Ma, come spesso capita, la medicina va avanti e la diffusione di novità scientifiche nell’ambito della classe medica ha tempi più lunghi, sia sul fronte specialistico che della medicina di base che è anche oberata da tante incombenze. Vale per tutto il mondo, non solo per l’Italia”.  

L’esofagite eosinofila è “una malattia di genere al contrario, al maschile. Esistono degli stereotipi e, quando siamo di fronte a un problema di alimentazione, dunque si confondono un po’ i temi – riflette Annibale – Del resto il rischio di etichettare il paziente come affetto da altri disturbi è frequente in diverse malattie”. Per fare chiarezza, aggiornare i criteri diagnostici e sottolineare l’importanza di riconoscere i sintomi clinicamente rilevanti, e per fornire una strategia nazionale condivisa per la diagnosi, il trattamento e il follow-up dei pazienti, un gruppo di esperti italiani ha fatto un Consensus group e sviluppato delle linee guida sull’Eoe, pubblicate nel 2024 sulla rivista ‘Digestive and Liver Disease’. 

“Nel nostro ospedale abbiamo istituito un ambulatorio dedicato che è cresciuto molto e segue oggi un numero elevato di pazienti – racconta lo specialista – Abbiamo l’endoscopia dedicata” ed è più facile porre il sospetto diagnostico e confermarlo. “Il problema in medicina è sempre che, se non pensi possa esistere una condizione, non farai mai la diagnosi”. Ci sono però delle parole chiave che il paziente potrebbe usare e che devono far accendere la lampadina, “dei determinanti semantici, che scattano per noi quando per esempio qualcuno ci dice che effettivamente manda giù il boccone e si ferma; ha dolore, bruciore di un certo tipo”. 

Nel caso della donna 50enne, continua Annibale, “la sorte ha voluto che un giovane medico del nostro Dipartimento di Gastroenterologia ascoltasse la sua storia e identificasse sintomi specifici che hanno acceso l’alert che poi ha portato alla diagnosi. D’altronde la disfagia, per definizione, è un sintomo d’allarme in medicina che impone l’esame endoscopico. Ma gli stereotipi esistono anche in medicina e il merito e l’innovazione sta nel pensare che anche una persona che non rientra nella fascia d’età e nell’identikit tipico dell’Eoe possa soffrirne. I sintomi più sfumati sono quelli più terribili da interpretare”, sono una sfida. “Solo con un colloquio approfondito possiamo immaginare di comprendere meglio cosa rappresentino – conclude – Il problema è avere il tempo di fare delle domande. In un colloquio di pochi minuti non si può fare. Si deve scavare nella storia clinica del paziente, dargli il modo di esprimersi e raccontare il suo vissuto. Il problema è tutto lì”. 

Tags: adnkronoscronacaItaliasaluteultimora
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