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Sei milioni di italiani con disturbi psiche e cervello, esperti: “Cure siano uguali per tutti”

di Redazione
3 Ottobre 2025
in Benessere & Salute
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(Adnkronos) – In Italia sono oltre 3,5 milioni le persone che vivono con disturbi psichiatrici e 2,5 milioni quelle affette da malattie neurologiche. Numeri importanti, che evidenziano l’urgenza di interventi volti a colmare le lacune e le disparità di accesso alle cure, principalmente causate da età, luogo di residenza, barriere culturali e situazione socioeconomica. Di questo – ma anche di liste d’attesa, bisogno di diagnosi precoce, necessità di percorsi assistenziali più strutturati, disturbi dell’infanzia e adolescenza, malattie neurologiche rare e accettazione della cronicità – si è parlato oggi durante l’evento Brain Health Inequalities – Idee e strategie per non lasciare indietro nessuno, promosso da Lundbeck Italia e Triennale Milano in occasione della 24esima Esposizione internazionale Inequalities. Grazie alla partecipazione di esperti, rappresentanti delle istituzioni, del mondo accademico e del Terzo settore – riporta una nota – è stato possibile fare luce sulle cause delle disparità di accesso alle cure e sulle azioni da mettere in campo per una sanità sempre più equa e inclusiva, preservando la salute del cervello di tutti per una vita longeva e in salute. 

“Regione Lombardia sta lavorando con grande impegno per tradurre le risorse del Pnrr in servizi concreti per i cittadini – spiega Emanuele Monti, presidente Commissione Welfare Regione Lombardia –. In particolare, la sanità territoriale rappresenta una priorità: le Case e gli Ospedali di Comunità, insieme allo sviluppo della telemedicina, consentiranno di avvicinare le cure alle persone e ridurre i divari nell’accesso. Per quanto riguarda le patologie neurologiche e psichiatriche, il nostro obiettivo è rafforzare la presa in carico multidisciplinare, favorendo la continuità assistenziale tra ospedale e territorio. La digitalizzazione rappresenta inoltre un’opportunità straordinaria per condividere dati, ottimizzare i percorsi clinici e garantire equità di accesso. Crediamo molto anche nella formazione degli operatori e nell’integrazione tra servizi sanitari e sociali. In questo modo vogliamo promuovere una salute del cervello più equa, diffusa e sostenibile per tutti”.  

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“Quando si parla di iniquità di accesso alle cure è necessario sottolineare che il problema non è tanto la lista d’attesa, ma la metrica con cui misuriamo il funzionamento del sistema sanitario – afferma Francesco Longo, professore associato di Public and Health Care Management, Università Bocconi –. Oggi le liste d’attesa riguardano meno della metà delle ricette prescritte, eppure vengono utilizzate come indicatore principale. La verità è che la ricetta non misura l’equità, anzi la nasconde. A parità di condizioni epidemiologiche, abbiamo territori in cui il consumo di prestazioni è molto basso e altri in cui è altissimo. Questo dimostra che non si tratta di una semplice differenza tra centro e periferia, ma di una profonda disuguaglianza interna al sistema. Inoltre, non ragioniamo ancora in un’ottica di cronicità: continuiamo a pensare alla prestazione come se fosse risolutiva e in grado di guarire il paziente da una patologia, mentre la maggioranza dei malati convive per decenni con malattie croniche, non guaribili. Il vero fattore discriminante non è solo il reddito, bensì la capacità di elaborare la propria condizione di cronicità, il ‘per sempre’ legato alla malattia. Chi riesce ad accettare questa realtà si cura e aderisce alle terapie; chi la rifiuta tende a sottrarsi a controlli, esami e trattamenti, per non avere continua memoria della diagnosi. Se vogliamo davvero ridurre le disuguaglianze, dobbiamo cambiare linguaggio e prospettiva: la sfida centrale è sostenere l’aderenza terapeutica e accompagnare le persone in un percorso di cura che duri tutta la vita”.  

“La diagnosi precoce delle malattie psichiatriche è fondamentale, in particolar modo nei minori – aggiunge Bernardo Dell’Osso, professore ordinario di Psichiatria, Università Statale di Milano, direttore Dipartimento Salute mentale e dipendenze, Asst Fatebenefratelli-Sacco –. A 5-6 anni possono già emergere i primi segnali di autismo o ADHD, a 13-14 anni possono iniziare a manifestarsi i sintomi dei disturbi di personalità, i primi episodi indicativi di disturbi dell’umore e d’ansia oltre ai primi comportamenti di abuso di sostanze e i sintomi prodromici dei disturbi psicotici. A16-17 anni gli adolescenti possono già entrare in fasi particolarmente delicate per l’esordio di condizioni psichiatriche più complesse. Per questo è essenziale che le famiglie siano sensibilizzate e accompagnate: spesso sono i genitori, gli insegnanti o gli psicologi scolastici i primi a cogliere i segnali di disagio e malessere psichico, cercando d’ indirizzare i giovani verso i servizi più adeguati”. ù 

Prevenzione “significa agire sui fattori di rischio, da quelli genetici a quelli ambientali come traumi, conflitti familiari, bullismo, difficoltà di integrazione o pressione sociale e mediatica. Non esiste un singolo gene che determina il disturbo psichico – aggiunge Dell’Osso -: è l’interazione tra componenti genetiche e ambientali, più o meno stressanti ma ripetute, a fare la differenza. Ogni condizione, dall’autismo ai disturbi di personalità, dalle dipendenze ai disturbi del comportamento alimentare, richiede un percorso mirato. Per garantire equità di accesso è necessario lavorare non solo negli ospedali, ma anche e soprattutto sul territorio: nei consultori, nei centri psicosociali, nelle case di comunità e negli ambulatori dei pediatri e dei medici di base, rafforzando, soprattutto nelle aree più periferiche, strumenti di supporto a distanza e virtuali. Solo così potremo intercettare prima e in misura maggiore i bisogni degli adolescenti e dei giovani adulti e costruire percorsi di cura efficaci e personalizzati”. “In neurologia la disparità di accesso alle cure resta una delle sfide più rilevanti: la possibilità di ricevere una diagnosi precoce, di essere trattati in una Stroke Unit o di accedere a farmaci innovativi per sclerosi multipla, Parkinson o Alzheimer varia ancora troppo a seconda della regione, della provincia o persino della condizione socioeconomica dei pazienti” sottolinea Alessandro Padovani, presidente Sin, Società italiana di neurologia.  

“A questa disomogeneità – evidenzia Padovani – si aggiunge la difficoltà di riconoscere tempestivamente le malattie neurologiche nelle persone già affette da altre patologie somatiche o mentali. Il Decreto Ministeriale 77 del 2022 ha ridefinito l’assistenza sanitaria territoriale in Italia offrendo una cornice importante, ma serve tradurre le intenzioni in pratica, con reti neurologiche integrate tra ospedale e territorio capaci di garantire continuità di cura soprattutto ai cronici e ai fragili. Occorre un’alleanza forte con psichiatria, geriatria, riabilitazione e medicina generale, per una presa in carico davvero multidisciplinare. Inoltre, non possiamo ignorare le barriere economiche, culturali e linguistiche che colpiscono le comunità più vulnerabili, portandole a diagnosi tardive e a un maggior rischio di disabilità evitabile. Solo una neurologia radicata nel territorio, supportata da strumenti di telemedicina e da Pdta condivisi, può ridurre queste disuguaglianze e rendere l’accesso alle cure più equo e sostenibile per tutti i cittadini. Tra le azioni urgenti che vorremmo portare avanti c’è l’inserimento nei Lea di nuovi biomarcatori e percorsi di diagnosi precoce; lo sviluppo di indicatori di equità e qualità monitorati a livello nazionale; il sostegno di progetti di tele-neurologia per ridurre le distanze e i tempi di accesso”.  

L’evento Brain Health Inequalities si è svolto in concomitanza con La Repubblica della longevità – In Health Equalities We Trust, una mostra presentata nell’ambito di Inequalities che si pone l’obiettivo di mettere in luce le disuguaglianze “invisibili” e di offrire un punto di vista nuovo sul ruolo del design e degli oggetti nel contribuire al benessere della popolazione e alla riduzione delle disparità.  

“Le disuguaglianze che costellano il contesto in cui si sta svolgendo la nostra vita e che influenzano direttamente la nostra traiettoria di longevità reclamano una presa di posizione radicale. Politica. Perché la longevità in salute della popolazione è una res publica e in quanto tale ha bisogno di una risposta politica – commentano Nic Palmarini, Director National Innovation Centre for Ageing UK e Marco Sammicheli, Direttore Museo del Design Italiano Triennale Milano, curatori della mostra –. La Repubblica della Longevità è dunque la piattaforma che pone le basi di una rivoluzione individuale e sociale per influenzare e indirizzare l’impegno e le scelte verso noi stessi. In questo contesto la non-neutralità del design, la sua incarnazione delle visioni del mondo, dei rapporti tra potere e ideologie, il suo ruolo di plasmatore del nostro quotidiano, i suoi racconti di inclusione o esclusione, di sostenibilità o spreco, di democratizzazione o privilegio rappresentano l’interfaccia di quello stesso manifesto politico che la Repubblica della Longevità sottintende”.  

“Superare le disparità nell’accesso alle cure necessarie per garantire la salute del cervello rappresenta una delle sfide più urgenti per il sistema sanitario, nonché una priorità che riguarda tutti – dichiara Tiziana Mele, Amministratore Delegato di Lundbeck Italia –. Non possiamo accettare che al peso delle malattie del cervello si aggiunga la fragilità dei sistemi di presa in carico. Serve una riflessione collettiva capace di tradurre i bisogni in soluzioni concrete e in modelli organizzativi più inclusivi. Promuovere il dialogo su questi temi nella prestigiosa cornice della Triennale Milano, in continuità con l’esposizione Inequalities di cui siamo partner, è un’opportunità preziosa per sensibilizzare l’opinione pubblica. Il design può diventare catalizzatore di confronto e dialogo, anche con le istituzioni, perché crediamo fermamente che la collaborazione tra pubblico, privato e società civile sia fondamentale per garantire equità, innovazione e continuità nelle cure. Solo così potremo costruire un sistema realmente capace di rispondere ai bisogni di tutti i pazienti, senza lasciare indietro nessuno”. Al dibattito hanno partecipato anche Lamberto Bertolè, assessore al Welfare e Salute Comune di Milano; Tonino Aceti, fondatore e presidente Salutequità; Gianni Bonelli, Direttore denerale Fondazione Mondino Irccs; Isabella Brambilla, presidente Dravet Italia Onlus, presidente Alleanza Epilessie Rare e Complesse. 

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