Tumori tiroidei: l’importanza dell’intervento tempestivo

Uno studio internazionale, guidato dai professori Fabio Medas e Pietro Giorgio Calò del dipartimento di Scienze chirurgiche dell’ateneo di Cagliari, dimostra l'urgenza di operare entro tre o quattro mesi dalla diagnosi per migliorare le possibilità di successo nella cura dei noduli tiroidei con citologia indeterminata

Esamina della tiroide. 📷 Depositphotos

📷 Depositphotos

È stato pubblicato venerdì scorso su The Lancet Diabetes & Endocrinology, la più importante rivista al mondo nel campo dell’endocrinologia e del diabete (con un impact factor di 44,867), uno studio internazionale guidato dai professori Fabio Medas e Pietro Giorgio Calò, rispettivamente associato e ordinario di Chirurgia generale dell’Università di Cagliari, primo e ultimo firmatario della ricerca scientifica che ha coinvolto oltre 160 autori e quasi 350 collaboratori di tutto il mondo.

Studio multicentrico e trasversale in 49 nazioni e 157 reparti di chirurgia, sui casi di circa 23 mila pazienti con noduli tiroidei con citologia indeterminata.

Durante le fasi più acute della pandemia da COVID-19 l’attività chirurgica è stata riservata alle urgenze e alle neoplasie maggiormente aggressive, come quelle dello stomaco, del pancreas e del colon”, spiega il professor Fabio Medas. “Il nostro studio si è focalizzato sui noduli tiroidei con citologia indeterminata, neoplasie che presentano un rischio basso o intermedio di malignità (variabile dal 5% al 30%) e generalmente una lenta progressione. Per questo motivo, nei centri che si occupano di chirurgia endocrina ed in particolare tiroidea, gli interventi per questi noduli durante la pandemia sono stati generalmente posticipati per lasciare spazio a neoplasie tiroidee che alla diagnosi presentavano caratteristiche maggiormente aggressive. Abbiamo pertanto deciso di verificare se il ritardo nel trattamento dei noduli con citologia indeterminata fosse un dato ubiquitario, e se esso potesse essere messo in relazione con il riscontro di carcinomi tiroidei maggiormente aggressivi”.

Ritardare gli interventi durante la pandemia ha aumentato l’aggressività, le metastasi e il rischio di recidive.

Dallo studio è emerso che i pazienti operati durante l’ultima fase del nostro studio, corrispondente al periodo in cui si ha avuto una attenuazione della pandemia (da giugno a dicembre 2021), presentavano – rispetto ai pazienti operati prima della pandemia – carcinomi tiroidei maggiormente aggressivi, in particolare con dimensioni maggiori, con una maggiore incidenza di metastasi linfonodali e con un maggior rischio di recidiva locale”, afferma il professor Piergiorgio Calò. “È pertanto possibile che il ritardo negli interventi causato dalla pandemia abbia comportato una maggiore incidenza di tumori tiroidei aggressivi, anche se non bisogna scartare altre ipotesi, per esempio l’effetto dell’infezione da Sars-CoV-2 che potrebbe aver promosso la progressione di tumori tiroidei già esistenti, oppure una maggiore attenzione nel selezionare i pazienti con noduli con caratteristiche maggiormente aggressive agli esami preoperatori”.

Tra gli autori del lavoro compaiono anche i dottori Gian Luigi Canu e Federico Cappellacci, rispettivamente ricercatore e specializzando di Chirurgia generale di UniCa.

È pertanto necessario – concludono i responsabili dello studio – che gli interventi per questi tipi di noduli tiroidei non vengano rimandati e posticipati, anche in caso di future restrizioni, ma vengano operati in tempi ragionevoli, normalmente non oltre i 3-4 mesi dalla diagnosi”.

Exit mobile version