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Giorgio Napolitano, una parabola politica lunga 70 anni: il ricordo nel centenario della nascita

di Redazione
28 Giugno 2025
in Italia & Mondo
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(Adnkronos) – Dirigente politico, uomo delle istituzioni, presidente della Repubblica. Una parabola politica lunga 70 anni, quella di Giorgio Napolitano, del quale domani, domenica 29 giugno 2025, ricorreranno i 100 anni dalla nascita. Un anniversario che lunedì e martedì prossimi verrà celebrato al Senato con un convegno organizzato nella sala Capitolare dalla Fondazione Gramsci, dall’Istituto per gli studi storici e dall’Associazione Giorgio Napolitano, durante il quale, presente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, storici e studiosi ripercorreranno le varie tappe che hanno contrassegnato l’attività dell’ex capo dello Stato nel partito, nel Parlamento italiano ed europeo, nel Governo, fino a ricoprire la più alta carica istituzionale. 

Un approdo avvenuto nel 2006, seguito dalla prima riconferma della storia dopo il settennato, avvenuta per una serie di contingenze che resero necessaria una rielezione che portò ad un prolungamento del mandato di altri due anni. Ma non è stata la sola prima volta che può vantare nel suo curriculum. Napolitano, scomparso il 22 settembre del 2023 all’età di 98 anni, è stato infatti il primo ex comunista a diventare Presidente della Repubblica; ma anche il primo ex comunista nominato ministro dell’Interno; il primo dirigente comunista inviato negli Stati Uniti.  

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Nasce a Napoli il 29 giugno del 1925 e si laurea in Giurisprudenza nel dicembre del 1947 presso l’Università del capoluogo campano con una tesi in economia politica. Da studente universitario è impegnato con i giovani antifascisti e a vent’anni si iscrive al Partito comunista. Nel 1953 viene eletto per la prima volta alla Camera, dove verrà sempre riconfermato, tranne che nella quarta legislatura, nella circoscrizione di Napoli, rimanendovi fino al 1996. Nel 1992 ne diverrà presidente, dopo l’elezione a capo dello Stato di Oscar Luigi Scalfaro, e sarà chiamato a governare l’Assemblea di Montecitorio al culmine di Tangentopoli, sempre geloso custode delle prerogative parlamentari. 

Così, di fronte alla richiesta “irrituale agli uffici della Camera, da parte di un ufficiale della Guardia di Finanza, su invito della Procura della Repubblica di Milano, di atti peraltro già pubblicati per obbligo di legge sulla Gazzetta ufficiale”, Napolitano ribadisce “i principi inderogabili cui si deve ispirare una corretta collaborazione tra il Parlamento ed il potere giudiziario”, esprimendo “viva preoccupazione per il verificarsi di casi che toccano questi principi”, ottenendo dal Procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, “formali scuse” dopo avergli manifestato “stupore e disappunto”.  

Mentre il suicidio del deputato socialista, Sergio Moroni, il 2 settembre del 1992, “fu il momento umanamente e moralmente più angoscioso che vissi da presidente della Camera”, confesserà alcuni anni dopo Napolitano, destinatario di una lettera da parte dello stesso parlamentare prima di compiere il tragico gesto.  

Dopo quel biennio, scocca l’ora del maggioritario e della vittoria del centrodestra e di fronte alle attese e agli interrogativi che suscita l’avvento del Governo di Silvio Berlusconi, durante il dibattito sulla fiducia l’ormai ex presidente della Camera disegna il perimetro di quello che dovrebbe essere il terreno di un corretto rapporto tra maggioranza e opposizione. 

Un discorso rimasto celebre, che spinge il nuovo premier a lasciare i banchi del governo per congratularsi con Napolitano. “Non ho dimenticato quella stretta di mano -affermerà Gianni Letta durante il funerale laico dell’ex capo dello Stato- orgoglioso di esserne stato, con Giuliano Ferrara, testimone diretto, anche perché sembrò segnare la nascita di un bipolarismo mite, garbato nei toni e costruttivo negli intenti, nel quale il presidente Napolitano forse non ha mai rinunciato a sperare”. 

“L’opposizione -disse tra l’altro Napolitano- non deve impedire che si deliberi in Parlamento, ma ha ragione di esigere misura e correttezza, riconoscimento e rispetto dei propri diritti. L’opposizione non deve impedire che questo Governo governi; anzi, ha interesse a che non ci siano alibi per ogni possibile inazione o contraddizione da parte del Governo. Quel che sollecitiamo è il linguaggio di un serio confronto istituzionale, di un confronto in quest’Aula sulla complessità ineludibile dei problemi e delle scelte di governo. È anche così che si rispetta sul serio il Parlamento ed il suo ruolo insostituibile nel sistema democratico, in una democrazia dell’alternanza: e non c’è nulla che prema di più a chi vi parla, nulla che dovrebbe premere di più a tutti noi”.  

I primi incarichi nel Partito comunista, vedono Napolitano nominato segretario delle federazioni di Napoli e Caserta, mentre dal 1956 diviene membro del Comitato centrale, dove assume l’incarico di responsabile della commissione meridionale. Entrato a far parte della Direzione, nel triennio 1976-79, gli anni della solidarietà nazionale, è responsabile della politica economica del partito, mentre dal 1986 dirige la commissione per la Politica estera e le relazioni internazionali. E quando nel 1989 Achille Occhetto darà vita al ‘governo ombra’ ne sarà nominato ministro degli Esteri. 

Allievo di Giorgio Amendola, con Gerardo Chiaromonte ed Emanuele Macaluso è uno degli esponenti di spicco della corrente migliorista, quella più moderata del partito, che lo vede sempre impegnato a tenere aperti i canali di dialogo con il Psi, anche negli anni del duro scontro tra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi. 

Sia per la sua linea politica che per gli incarichi ricoperti, Napolitano cura i rapporti con i Laburisti inglesi, i Socialisti francesi, i Socialdemocratici tedeschi, i Democratici statunitensi. E dopo un iniziale rifiuto del visto da parte del segretario di Stato Henry Kissinger nel 1975, tre anni dopo sarà il primo dirigente comunista a recarsi negli Usa, nel pieno della stagione del compromesso storico. Un viaggio reso possibile grazie anche ai buoni uffici del presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, come ricorderà anni dopo Napolitano in una lettera al leader democristiano: “Non dimentico come ti adoperasti per il buon esito di quella mia prima missione negli Stati Uniti”.  

Kissinger invece si farà perdonare con gli interessi 40 anni dopo, quando nel 2015 gli consegnerà di persona l’omonimo premio all’American Academy a Berlino. “Ha salvato la democrazia Italia nel bel mezzo della crisi economica globale. Per me -dirà l’ex capo della diplomazia americana- ha un grande significato celebrare Napolitano: vero leader democratico, amico delle relazioni atlantiche e difensore della dignità degli esseri umani”. 

“Prima che divenisse presidente della Repubblica, Kissinger ebbe occasione di dire a mio padre: ecco qui my favorite communist, il mio comunista preferito”, racconterà Giulio, uno dei due figli di Napolitano, quando due mesi dopo la scomparsa del padre morirà anche l’ex capo della diplomazia Usa. “E una volta eletto al Quirinale Kissinger fu spesso ricevuto per scambi di opinione sulla politica internazionale e hanno sempre condiviso l’idea di un equilibrio internazionale multipolare basato sul riconoscimento e sul rispetto reciproco tra le maggiori potenze”. 

“Mio padre -dirà sempre Giulio Napolitano con un ulteriore ricordo di carattere personale- ha letto e studiato con grande attenzione tutti i libri di Kissinger ed ero riuscito a leggergli alcuni brani del suo ultimo libro sulla leadership, con il ricordo di grandi personaggi e mio padre aveva apprezzato e gustato quelle pagine che avevo avuto modo di leggergli”. 

Tornando alla sua attività all’interno del Pci, Napolitano alla morte di Berlinguer sfiora la segreteria, spinto da un altro esponente migliorista come il segretario della Cgil Luciano Lama, ma alla fine prevarrà Alessandro Natta. In quegli anni, esattamente tra il 1981 e il 1986, sarà comunque capogruppo alla Camera.  

Dopo aver lasciato l’assemblea di Montecitorio, nel 1996 viene nominato ministro dell’Interno nel primo Governo di Romano Prodi e con la ministra della Solidarietà sociale, Livia Turco, terrà a battesimo la legge sull’immigrazione che tra l’altro istituisce i Cpt, Centri di permanenza temporanea.  

Chiusa anche quell’esperienza quando a palazzo Chigi approda Massimo D’Alema, dal 1999 al 2004 Napolitano è parlamentare europeo, esperienza vissuta anche nel triennio 1989-1992. Come ex presidente della Camera, nel 2003 viene nominato a guida dell’omonima Fondazione, nata per favorire la conoscenza e la divulgazione del patrimonio storico e del ruolo istituzionale dell’Assemblea di Montecitorio. 

Il 23 settembre del 2005 il ritorno nel Parlamento italiano, quando Carlo Azeglio Ciampi lo nomina senatore a vita. Sarà una parentesi di pochi mesi, perchè il 10 maggio 2006 viene eletto Presidente della Repubblica con 543 voti, quelli della maggioranza di centrosinistra. ‘The quiet power broker’, il posato mediatore, lo definirà il ‘New York Times’, con espressione che sintetizza un settennato durante il quale la funzione di garante si concretizza in un’attività in grado di assicurare il costante equilibrio del sistema istituzionale, soprattutto nei momenti più critici e delicati. 

Come nell’autunno del 2011, l’anno in cui si celebrano i 150 anni dell’unità d’Italia, quando la crisi del Governo Berlusconi e la preoccupante situazione economica legata all’elevato livello raggiunto dallo spread, portano alla nascita dell’Esecutivo tecnico guidato da Mario Monti, nominato senatore a vita una settimana prima di assumere l’incarico di premier e sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare. 

“Dopo Berlusconi, Napolitano, a tre mesi l’uno dall’altro. Mi piace immaginare -afferma sempre Gianni Letta durante il funerale laico dell’ex Presidente della Repubblica- che incontrandosi lassù, possano dirsi quello che forse non si dissero quaggiù e, placata ogni polemica, possano anche chiarirsi e ritrovarsi nella luce”. 

“Due persone così lontane, due storie così distanti, due mondi opposti, due figure così diverse chiamate a lavorare insieme e a condividere le massime responsabilità dello Stato. Poteva essere difficile quella convivenza e non fu sempre facile, non mancarono i momenti di tensione, e neppure le polemiche, anche se quelle più aspre sarebbero venute dopo. Ma da tutte due le parti -assicura colui che di Berlusconi fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio- non vennero mai meno la volontà e la forza di mantenere il rapporto nei binari della correttezza istituzionale. Lo posso dire in coscienza perchè ne sono personalmente testimone”. 

La stessa maggioranza parlamentare che fino a dicembre del 2012 ha sostenuto il Governo Monti, nella primavera del 2013, all’indomani delle elezioni politiche ricordate come quelle della ‘non vittoria di Bersani’, dopo la bocciatura di Franco Marini e di Romano Prodi ad opera dei franchi tiratori, chiederà a Napolitano di restare al Quirinale al termine del suo settennato. Accetta e il 20 aprile arriva la sua rielezione con 738 voti. La prima ma non l’ultima volta nella storia repubblicana di una conferma al Quirinale dopo il settennato, visto che la stessa cosa accadrà nel 2022 con Sergio Mattarella, anche in questo caso per superare uno stallo parlamentare che sembra senza via d’uscita.  

Giurando davanti al Parlamento riunito in seduta comune, Napolitano, denuncia l'”imperdonabile nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione”. Per questo, è il suo appello “non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana”.  

Un obiettivo che porta alla formazione del Governo di larghe intese guidato da Enrico Letta e un impegno che non cessa anche quando l’ex Capo dello Stato decide che è arrivato il momento di lasciare il Quirinale, il 14 gennaio 2015. 

Nove anni durante i quali si ricordano anche l’impegno europeista, suggellato da momenti dalla forte valenza simbolica, come la storica visita il 23 marzo 2013 insieme al Presidente tedesco Joachim Gauck a Sant’Anna di Stazzema per commemorare le vittime dell’eccidio compiuto dai nazisti.  

Restano poi scolpite nella memoria le immagini che testimoniano lo speciale e intenso rapporto con Benedetto XVI, culminato nel concerto in Vaticano del 4 febbraio 2013 organizzato in occasione dell’anniversario dei Patti lateranensi. Napolitano, con commozione, ricorda “la memoria dei nostri incontri e colloqui, in molteplici occasioni, nel corso di questi sette difficili anni”. Parole che vengono lette come un commiato in vista della fine del settennato, che invece verrà prolungato ancora di due anni, mentre una settimana dopo sarà Ratzinger a lasciare sorpresa il Soglio di Pietro.  

“Non esito a confessare –aveva scritto l’allora Capo dello Stato nel luglio 2012, in un articolo per l’Osservatore Romano dal titolo ‘Il mio amico Benedetto XVI’- che una delle componenti più belle che hanno caratterizzato la mia esperienza è stato proprio il rapporto con Benedetto XVI. Abbiamo scoperto insieme una grande affinità, abbiamo vissuto un sentimento di grande e reciproco rispetto”. 

E nonostante siano pochi i mesi durante i quali si troveranno contemporaneamente l’uno al vertice dello Stato italiano e l’altro sul Soglio di Pietro, anche il rapporto tra Napolitano e Papa Francesco sarà intenso e profondo. Tanto che Bergoglio quando le condizioni dell’ex Presidente si sono irrimediabilmente aggravate, non mancherà di rivolgere una preghiera per lui durante l’udienza generale del mercoledì, affinchè “abbia conforto, questo servitore della patria”. E a sorpresa si recherà alla camera ardente allestita in Senato per rendere omaggio alla salma del Presidente emerito, fermandosi a lungo in piedi, davanti al feretro. 

Tags: adnkronosGiorgio NapolitanoItaliaultimora
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