(Adnkronos) – L’accordo raggiunto al Consiglio Ue sul prestito da 90 miliardi all’Ucraina può avere un valore superiore a quello più evidente, continuare a garantire sostegno finanziario a Kiev. La scelta di ricorrere al debito comune, e di farlo con un meccanismo che di fatto neutralizza il vincolo dell’unanimità, apre la strada all’utilizzo di Eurobond garantiti dal bilancio dell’Unione. Un passo che può rappresentare una svolta nella capacità futura dell’Europa di finanziare le politiche in cui possono impegnarsi tutti, o quasi, gli Stati membri.
Di fronte ai veti incrociati e alle oggettive difficoltà giuridiche per l’utilizzo degli asset congelati alla Russia a sostegno del finanziamento per Kiev, i 27 membri della Ue hanno trovato un accordo su quello che alla vigilia della riunione del Consiglio era considerato un piano B: un prestito finanziato sul mercato dei capitali con la garanzia del Qfp, il bilancio pluriennale comunitario.
Per ottenere questo risultato sarebbe stata necessaria l’unanimità. E qui si inserisce una formula che potrà rappresentare un precedente utile a sbloccare altri dossier complessi, senza dover necessariamente passare per una riforma, lunga e complessa, dei meccanismi di funzionamento dei processi decisionali. Repubblica Ceca, Slovacchi e Ungheria, i Paesi che di fatto avevano in mano il potere di veto capace di bloccare l’intera operazione, hanno votato l’accordo a fronte di una ‘via d’uscita’ concordata, la possibilità di non partecipare al prestito per Kiev. Di fatto, si fa debito comune con il consenso di tutti ma con garanzie per chi non vuole partecipare all’operazione che quel debito deve finanziare. E’ uno schema che, con i dovuti aggiornamenti caso per caso, potrà essere replicato.
La strada percorsa con il prestito da 90 miliardi all’Ucraina è la stessa strada che ha sempre indicato con forza e convinzione Mario Draghi, a partire dal suo Rapporto: introdurre obbligazioni sovrane comuni europee (gli Eurobond) per finanziare investimenti strategici e aumentare la competitività, strumenti per stimolare il mercato unico, ridurre i costi di finanziamento per gli Stati più indebitati e affrontare le sfide economiche europee.
Il concetto sviluppato da Draghi e sostanzialmente accolto nell’accordo della scorsa notte sul finanziamento all’Ucraina nasce dalla premessa che per gli investimenti necessari, dalla difesa alla transizione verde e a quella digitale, i capitali privati non bastano e i fondi pubblici non possono gravare sui bilanci dei singoli Stati. La conseguenza è che si faccia debito comune, come nel caso specifico del finanziamento all’Ucraina, non per aumentare la spesa pubblica generale o per finanziare sussidi, ma per sostenere obiettivi fondamentali su cui c’è una convergenza strategica. (Di Fabio Insenga)































