(Adnkronos) – Amore sì, ma in versione digitale. Dopo la notizia della 32enne giapponese Yurina Noguchi, che ha celebrato una cerimonia simbolica con “Klaus”, una identità virtuale costruita tramite ChatGPT e accessibile solo attraverso smartphone e occhiali per la realtà aumentata, si sono sollevati commenti di vario tipo, fra cui anche quello di Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale. “Questo episodio non dice nulla sull’IA e dice moltissimo su di noi”, spiega Epifani. “È l’esito coerente di un processo di antropomorfizzazione spinta, in cui a sistemi statistici senza intenzionalità, coscienza o desiderio attribuiamo progressivamente ruoli, emozioni e funzioni relazionali. Prima li chiamiamo “assistenti”, poi “compagni”, infine “partner”. Il passo successivo non è il matrimonio: è la rinuncia definitiva all’alterità.
L’IA, così raccontata, diventa uno specchio narcotico: risponde sempre, non contraddice mai, non delude, non chiede nulla che non siamo già pronti a dare. È la relazione perfetta perché è una relazione finta. Non c’è negoziazione, non c’è conflitto, non c’è rischio. E senza rischio non c’è relazione, solo conferma”. Noguchi spiega di aver iniziato a dialogare con l’intelligenza artificiale come forma di supporto emotivo durante una relazione sentimentale complicata; con il tempo, quello scambio quotidiano di messaggi si è trasformato in un legame affettivo percepito come stabile, fino alla decisione di inscenare una proposta di matrimonio.
Il punto, quindi, non è se sia “strano” sposare un’IA”, conclude Epifani. “Il punto è che abbiamo iniziato a progettare tecnologie che simulano il legame umano mentre disimpariamo a reggerne il peso. L’antropomorfizzazione dell’IA non serve a rendere le macchine più umane, ma a rendere opzionale l’umano. Ed è qui che il problema smette di essere folkloristico e diventa culturale”.
































