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Cesvi presenta 20esima edizione italiana indice globale della fame

di Redazione
14 Ottobre 2025
in Italia & Mondo
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(Adnkronos) – Nell’ultimo anno guerre e conflitti armati hanno innescato 20 crisi alimentari e gettato in condizioni di fame acuta 140 milioni di persone, un numero equivalente a oltre il doppio dell’intera popolazione italiana. In diversi contesti, la fame non è stata soltanto una conseguenza “collaterale” della violenza armata, ma è stata deliberatamente inflitta attraverso assedi, blocchi degli aiuti e distruzione delle infrastrutture agricole, ovvero utilizzata come una vera e propria arma di guerra. Gaza è l’esempio più emblematico: negli ultimi due anni il Ministero della Salute locale (MoH) ha documentato 461 decessi correlati alla malnutrizione (oltre 270 solo nel 2025), tra cui 157 minori. Attualmente 320mila bambini sotto i 5 anni a rischio di malnutrizione acuta e oltre 20mila persone sono rimaste uccise o ferite nel tentativo di procurarsi del cibo e accedere agli aiuti. 

È quanto emerge dall’Indice Globale della Fame 2025 (Global Hunger Index – Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto da Welthungerhilfe (Whh), Concern Worldwide e Institute for International Law of Peace and Armed Conflict (Ifhv). Il rapporto evidenzia che, attualmente, sono oltre 40 i Paesi del mondo, che stanno fronteggiando livelli di fame grave e allarmante.  

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“C’è un dato anche più preoccupante e che chiama in causa un disinteresse endemico e diffuso, impegni su scala mondiale presi e poi disattesi – sottolinea Gigi Riva, editorialista di Domani e scrittore, nella prefazione del Ghi 2025 – Le cifre sono impietose. Dal 2016 a oggi la riduzione della fame nel mondo è stata minima. Tanto da poter pronosticare che sarà forzatamente disatteso l’obiettivo ambizioso della “fame zero” entro il 2030. Se si procedesse gli attuali ritmi, la meta della scomparsa della fame sarebbe raggiunta nel 2137, più di un secolo dopo”.  

A Gaza è in corso una drammatica carestia, già attestata nel Governatorato di Gaza. Secondo le proiezioni, nei prossimi mesi quasi un terzo della popolazione si troverà in condizione di catastrofe, mentre 1,14 milioni di individui saranno in emergenza. Dalla metà di marzo, oltre 1,2 milioni di persone sono state sfollate, gli aiuti risultano ancora insufficienti e fortemente limitati e i prezzi dei beni di prima necessità sono esplosi. La malnutrizione infantile è aumentata rapidamente: nel corso dell’estate 2025 sono stati individuati tra i bambini con meno di 5 anni ben 28 mila casi di malnutrizione acuta, un numero più alto delle diagnosi totali dei sei mesi precedenti. Oltre 55mila donne in gravidanza o in allattamento e 25mila neonati necessitano urgentemente di supporto nutrizionale e la produzione alimentare locale è crollata: oltre il 98 per cento dei terreni coltivabili è danneggiato o inaccessibile. La distruzione delle infrastrutture agricole, la presenza diffusa di ordigni inesplosi e il collasso dei servizi idrici, sanitari e di salute pubblica renderanno la ripresa estremamente lunga, e i mezzi di sussistenza e la nutrizione saranno in pericolo ancora per anni. 

Cesvi è presente nei territori palestinesi dal 1994 e con l’inizio del conflitto ha intensificato gli sforzi. L’organizzazione negli ultimi due anni non ha mai interrotto le proprie attività, rimanendo sul campo con il proprio staff locale e internazionale per garantire la sopravvivenza delle famiglie sfollate. Attualmente Cesvi fornisce quotidianamente, a Gaza City e nel centro della Striscia, 50-55mila litri di acqua potabile nei campi sfollati. Le attività di distribuzione nella Striscia hanno raggiunto complessivamente circa 105.000 gazawi, con 30 milioni di litri di acqua distribuiti. Continua inoltre l’installazione di latrine e la riabilitazione delle infrastrutture igienico/sanitarie nei campi sfollati di Deir al Balah e Khan Younis. 

“Accogliamo con speranza le notizie di un accordo sul termine del conflitto, che ci auguriamo possa essere duraturo e definitivo, ma è fondamentale ricordare che quella in corso a Gaza continua a essere un’emergenza umanitaria di gravissima portata”, spiega il direttore generale di Cesvi Stefano Piziali. “La ripresa – aggiunge – sarà lunga e difficile: milioni di persone vivono in condizioni catastrofiche, senza sicurezza né accesso sufficiente a beni essenziali, e le ferite materiali e psicologiche sono molto profonde. La macchina umanitaria in questo conflitto è stata stravolta ed è necessario che riprenda rapidamente a muoversi in maniera tempestiva, efficace e senza ostacoli: portare soccorso ai più vulnerabili resta una sfida, condizionata da ostacoli logistici e da un equilibrio ancora incerto. Senza un accesso continuativo e coordinato, il rischio di abbandonare la popolazione a un destino segnato rimane concreto. Qualsiasi ulteriore ritardo, comporterebbe un aumento inaccettabile della mortalità legata alla carestia. Cesvi ribadisce che il rispetto del diritto internazionale e della neutralità umanitaria è indispensabile per proteggere i civili e garantire che gli aiuti arrivino realmente dove servono. Esortiamo tutte le parti a garantire l’accesso e la distribuzione degli aiuti umanitari in quantità adeguata per rispondere all’emergenza umanitaria e avviare un percorso volto a costruire le condizioni per una pace sostenibile. A Gaza servono interventi tempestivi, ma anche un impegno costante nei mesi e negli anni a venire per accompagnare verso un futuro dignitoso e sereno una popolazione stremata da anni di privazioni e violenza”. 

Il caso di Gaza è l’espressione più drammatica di una pericolosa tendenza ben lontana dall’essere isolata. Nel solo 2024 quasi la metà dei casi di fame acuta in tutto il mondo sono stati provocati proprio da scontri armati. Solo nell’ultimo anno sono stati registrati quasi 200 mila episodi di violenza, con un aumento del 25% rispetto al 2023. Questa escalation ha costretto milioni di famiglie a sopravvivere senza mezzi né servizi essenziali, portando il numero di sfollati a oltre 122 milioni, il livello più alto mai registrato. I conflitti a Gaza e in Sudan dimostrano chiaramente come la violenza armata possa distruggere rapidamente la sicurezza alimentare: tra il 2023 e il 2024 le persone esposte a livelli di carestia sono più che raddoppiate, raggiungendo quasi due milioni, di cui il 95% vive proprio in questi due contesti13. Il GHI 2025 richiama con forza l’attenzione sul rischio di “normalizzazione” dell’utilizzo della fame come arma di guerra e invita al rispetto del diritto internazionale e al rafforzamento dei meccanismi di controllo e responsabilità in relazione a questa pratica. 

“La guerra è il più crudele moltiplicatore della fame – afferma il direttore generale di Cesvi, Stefano Piziali – Dove scoppiano i conflitti, i sistemi alimentari collassano, le famiglie sono costrette a fuggire e milioni di persone vengono spinte nell’insicurezza alimentare. A rendere la situazione ancora più drammatica – prosegue – negli ultimi anni è stato registrato un forte calo degli aiuti umanitari, mentre le spese militari hanno continuato a crescere, superando nel 2024 i 2.700 miliardi di dollari: oltre cento volte l’ammontare destinato agli aiuti umanitari. Un’inversione di priorità che compromette la capacità della comunità internazionale di rispondere alla fame e che si unisce all’inaccettabile pratica, sempre più frequente, di utilizzare la privazione di acqua e cibo come un’arma contro la popolazione civile”. Il punteggio mondiale dell’Indice Globale della Fame (Ghi) 2025 è 18,3, indicativo di un livello di malnutrizione globale “moderato”: nel 2024, le persone che hanno sofferto di fame acuta sono state complessivamente oltre 295 milioni in 53 Paesi e territori, 13,7 milioni in più rispetto al 2023. I quattro indicatori chiave del rapporto – denutrizione, arresto della crescita infantile, deperimento infantile e mortalità infantile – restano lontani dagli obiettivi internazionali e non si registrano progressi significativi dal 2016 a causa della sovrapposizione di diverse crisi: conflitti armati, shock climatici e fragilità economiche. 

Dal Ghi 2025 emerge che la fame ha raggiunto livelli allarmanti in 7 Paesi – Haiti, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan, Burundi e Yemen – ed è classificata come grave in altri 35. In 27 Paesi si registra addirittura un peggioramento rispetto al 2016. Il punteggio più grave del Ghi 2025 è quello registrato dalla Somalia (42,6). Va tuttavia precisato che in diversi Paesi – tra cui Palestina e Sudan, oltre a Burundi, Corea del Nord e Yemen – la situazione è così critica da rendere impossibile il calcolo completo dei punteggi di Ghi, a causa della mancanza di dati essenziali. Gli indicatori disponibili, tuttavia, segnalano un peggioramento delle condizioni e suggeriscono che la realtà sia persino più grave di quanto riportino le statistiche. “Quando i sistemi di monitoraggio vengono indeboliti o smantellati, i bisogni diventano “invisibili” – prosegue Piziali – e quindi non riescono più ad attrarre aiuti, alimentando un circolo vizioso”. A livello regionale, la fame resta grave in Africa subsahariana e in Asia meridionale mentre si riscontrano lievi miglioramenti globali, legati soprattutto ai progressi in alcune aree dell’Asia meridionale, sud-orientale e dell’America Latina. Tuttavia, questi avanzamenti restano fragili e possono essere rapidamente compromessi, a conferma della necessità di politiche solide, sistemi di allerta precoce, misure di resilienza climatica e trasformazioni strutturali dei sistemi alimentari per consolidare i risultati raggiunti. Per questo il rapporto lancia un appello urgente per rafforzare gli aiuti, investire in sistemi alimentari resilienti, adottare politiche di lungo periodo e garantire il diritto al cibo come diritto umano fondamentale. 

La regione dell’Africa a sud del Sahara detiene ancora il primato mondiale di mortalità infantile sotto i 5 anni: in Chad, Niger, Nigeria e Somalia il livello resta estremamente allarmante. Il Sudan e il Sud Sudan il conflitto in corso dal 2023 ha frammentato i sistemi alimentari, ostacolato la distribuzione degli aiuti e provocato lo sfollamento di milioni di persone. A metà del 2024 è stata confermata la carestia in alcune aree del Darfur, con circa 760.000 persone in condizioni di insicurezza alimentare a livello catastrofe. In Asia meridionale la denutrizione colpisce ancora quasi 1 persona su 8, ed è in questa regione che si trova quasi il 40% della popolazione denutrita a livello globale. I livelli di denutrizione sono in aumento rispetto al 2016 e Afghanistan, Pakistan e Sri Lanka registrano livelli di fame in aumento. In Asia Occidentale e in Nord Africa la violenza armata in Paesi come Siria, Yemen, Territori Palestinesi occupati ha gravemente colpito la produzione agricola e i sistemi alimentari, provocando milioni di sfollati e riducendo le possibilità di accesso al cibo. 

Nella regione dell’Asia orientale e Sud Est Asiatico, tra i Paesi che affrontano le difficoltà peggiori vi è il Myanmar, con un punteggio Ghi pari a 15,3. L’escalation di violenza e il terremoto del marzo 2025 ha provocato circa 3 milioni di sfollati messo oltre 14 milioni di persone, pari al 25% della popolazione, in condizioni di insicurezza alimentare critiche. Accanto a queste emergenze, dal 2016 alcuni Paesi hanno registrato progressi significativi. Bangladesh, Nepal, Togo, India, Etiopia, Angola e Sierra Leone dimostrano che politiche mirate e investimenti costanti possono produrre risultati concreti nella lotta alla fame. Si tratta però di progressi fragili: senza strategie di lungo periodo, sistemi di allerta precoce e strumenti di resilienza climatica, i miglioramenti rischiano di non consolidarsi. 

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