Esistono pochi luoghi carichi di mistero come Monte d’Accoddi, il sito pre-nuragico a una decina di chilometri da Sassari. Mistero nel nome, dal significato per molti anni tutt’altro che certo. Mistero nella forma, unica nell’intero bacino mediterraneo, ma così simile alle ziqqurat mesopotamiche. Mistero nelle origini, datate all’età pre-nuragica e intorno a cui ruota la leggenda del principe e sacerdote mesopotamico Uruk.
Nella lista dei re sumeri, Uruk non compare. Nella Mesopotamia meridionale esisteva, invece, un’importante città con questo nome. Eppure, una leggenda sulle origini di Monte d’Accoddi ha come protagonista il principe mesopotamico. Insieme a tutta la propria tribù, Uruk avrebbe abbandonato la Mesopotamia per stabilirsi in Sardegna. Il racconto non riporta le ragioni di questa scelta, ma riferisce che, una volta arrivati sull’Isola, Uruk e le sue genti costruirono un tempio e un villaggio come quelli dove avevano pregato e vissuto sino a quel momento.
La ziqqurat iniziò così a prendere forma e Uruk, che oltre che sovrano era pure sacerdote, decise di dedicarla alla Luna. Mentre di giorno i lavori andavano avanti, di notte i sogni di Uruk erano interrotti dalla visione di una donna bellissima. La fanciulla si presentava puntuale ogni sera e faceva a Uruk sempre la stessa richiesta: che le mostrasse il tempio. Il principe non cedette una sola volta al fascino della ragazza, sino a quando scomparve. La donna, però, mentre si accommiatava, fece a Uruk un avvertimento: presto sarebbe arrivata una terribile tempesta, che avrebbe raso al suolo tutto.
La profezia della giovane non tardò ad avverarsi: la tempesta arrivò e fu tremenda, ma (grazie all’avvertimento) Uruk e il suo popolo non si fecero cogliere impreparati. Quando tutto fu finito e pioggia e vento smisero di battere e soffiare, scoprirono che del tempio non era rimasta traccia. Al suo posto, c’era un “monte” di terra. La ziqqurat era stata ricoperta.
È su questo punto che leggenda e storia sembrano trovare un punto d’incontro. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, infatti, la ziqqurat di Monte d’Accoddi fu ritrovata sepolta sotto una collinetta, un “monte” di terra e di pietre, appunto.
Antonio Segni, allora Ministro della Pubblica Istruzione, era convinto che un misterioso cumulo nei pressi di un terreno di famiglia nascondesse un tesoro archeologico. Riuscì così a promuovere lo scavo, ottenendo i finanziamenti necessari. I primi lavori, cominciati nel 1952 e condotti dall’archeologo Ercole Contu, mostrarono che sotto la collina si nascondeva effettivamente qualcosa di prezioso. Cominciarono così a essere portati alla luce i resti di due strutture templari sovrapposte, la cui forma ricorda, appunto, quella delle ziqqurat mesopotamiche. Queste strutture si dimostrarono, inoltre, molto più antiche dei nuraghi sino ad allora rinvenuti, e, con i menhir, le lastre sacrificali e una serie di misteriosi blocchi a forma di sfera ritrovati tutto intorno, documentarono la frequentazione di Monte d’Accoddi come centro cerimoniale in epoche anche distanti tra loro.
Tenendo conto della situazione precedente agli scavi, è quindi facile comprendere perché il sito fosse conosciuto come “monte”, nel senso, appunto, di “collina”. Il nome “Accoddi”, invece, sembra avere avuto origine dall’espressione “de Code”, registrata in alcune carte catastali. Il “Monte de Code” sarebbe il “Monte delle pietre”, il “Monton de la Piedra” citato in un documento spagnolo del Seicento. E in effetti, prima degli scavi, Monte d’Accoddi era apparso a tutti come una “collina di pietre”.
Così, secondo leggenda, era apparso anche a Uruk poco prima di lasciare la Sardegna. Dopo la tempesta, infatti, il sovrano aveva capito che la donna, che gli aveva fatto visita, altri non era che la dea della Luna, a cui aveva dedicato il tempio. Distruggendolo, la dea aveva rinunciato alla propria divinità, per vivere una vita d’amore al suo fianco. Fu così che Uruk lasciò la Sardegna per tornare in Mesopotamia e vivere con la sua amata. La ziqqurat rimase in Sardegna, sepolta dalle pietre come un ricordo lontano, che avrebbe aspettato secoli prima di rivedere la Luna.