Un affresco tra parole e note del Belpaese negli Anni Sessanta e Settanta con “Stavamo meglio quando stavamo peggio?”, divertente e coinvolgente spettacolo scritto da Fabrizio Coniglio e Stefano Masciarelli (produzione Tangram Teatro) in cartellone in prima regionale giovedì 23 febbraio alle 21:00 all’AMA / Auditorium Multidisciplinare di Arzachena (in collaborazione con Deamater), e poi in tournée nell’Isola – venerdì 24 febbraio alle 21:00 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania, sabato 25 febbraio alle 21:00 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo e domenica 26 febbraio alle 21:00 al Teatro Centrale di Carbonia – sotto le insegne della Stagione 2022-2023 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.
Una pièce brillante incentrata sul confronto tra due generazioni differenti, per una riscoperta della temperie culturale, politica e sociale di un periodo cruciale, ricco di fermenti e contraddizioni, tra il boom economico e le lotte operaie, attraverso lo sguardo del protagonista, immerso nei suoi ricordi, che prova a raccontate e a spiegare al nipote, non senza un pizzico di nostalgia, come si vivesse in «quell’Italia del sorriso e del sogno».
Sotto i riflettori Stefano Masciarelli – attore e comico, nonché musicista, conosciuto dal grande pubblico grazie a trasmissioni come Avanzi e Tunnel, una carriera fra teatro brillante, cinema e televisione – nel ruolo dello zio che cerca di trasmettere al nipote, interpretato da Fabrizio Coniglio, volto noto del grande e del piccolo schermo (dopo “L’Allieva” e “La Compagnia del Cigno”, interpreta Ludovico di Clermont ne “La legge di Lidia Poët”, con Matilda De Angelis nel ruolo della protagonista) oltre che autore di testi di teatro civile, lo spirito di un’epoca, neppure troppo remota, nella seconda metà del Novecento.
Sulle note della fisarmonica di Diego Trivellini, riecheggiano le canzoni di Alberto Sordi e Domenico Modugno, e tanti altri successi, in un’antologia che rispecchia gli interessi e i gusti del protagonista, il suo percorso di formazione: in una soffitta, tra i “reperti” del passato, riemergono libri, dischi e oggetti per lui emblematici e carichi di memorie.
Nel dialogo tra l’uomo e il nipote riaffiorano entusiasmo e passioni giovanili, insieme agli eventi significativi di due decenni in cui gli astronauti sono sbarcati sulla Luna, tra il carisma di John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King e il trionfo delle stars del rock, la “primavera di Praga” e i concerti di Woodstock, films come “Easy Rider” e “Il laureato”, “Psyco”, “Colazione da Tiffany” e “2001: Odissea nello spazio”, “Guerre Stellari” e “Il cacciatore”, ma anche “La febbre del sabato sera”.
Tra satira di costume, malizia e ironia si afferma la commedia all’italiana, grazie a registi come Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola, Pietro Germi e Mario Comencini, accanto alla cifra quasi surreale, grottesca e irriverente di Lina Wertmüller, senza dimenticare il grande Vittorio De Sica: tra i protagonisti di questa feconda stagione due artisti come Alberto Sordi (da “Tutti a casa” a “Polvere di stelle”, fino a “Un borghese piccolo piccolo”) e Domenico Modugno, già vincitore del Festival di Sanremo con “Nel blu dipinto di blu”.

“Stavamo meglio quando stavamo peggio?” trae spunto da un’espressione ricorrente, che esprime il rimpianto per i “bei tempi andati”, per tradurre l’ossimoro in una domanda, implicita, sulle trasformazioni dell’Italia, e dell’Europa, dopo la fase di rinascita nel secondo dopoguerra, con le crisi politiche e economiche, la consapevolezza delle diseguaglianze e le battaglie in difesa dei diritti civili, per giungere fino al Terzo Millennio, dove si cerca un equilibrio tra amarezza e disincanto, rassegnazione e male di vivere, per un bilancio non solo “esistenziale” del protagonista sugli effetti positivi e negativi del progresso tecnologico, dell’avvento del consumismo e del potere dei mass media nella definizione delle aspettative e delle istanze individuali e collettive.
Nell’era della realtà virtuale e della civiltà dell’apparire, in un mondo “globalizzato”, crescono le esigenze e spesso l’insoddisfazione, come il divario tra i ricchi e i poveri, tra il benessere diffuso (seppure non equamente distribuito) della società occidentale e le folle di diseredati, con le nuove migrazioni di popoli in fuga da guerre e persecuzioni, o “soltanto” dalla miseria e dalla fame.
Fin dal titolo, che suona quasi come un provocatorio calembour, “Stavamo meglio quando stavamo peggio?” con tutta la vis comica e il talento istrionico di Stefano Masciarelli in coppia con Fabrizio Coniglio affronta il dilemma del teatro e del cinema contemporaneo, specialmente laddove si voglia privilegiare l’ironia, ovvero si interroga sulla possibilità di recuperare la chiave della “leggerezza” per descrivere la complessità del presente, senza cadere nella superficialità. L’ideale “passaggio del testimone” tra due generazioni punta a mettere l’accento sulla capacità di sdrammatizzare, attraverso un umorismo a volte graffiante, i diversi aspetti della vita quotidiana: in un personalissimo “amarcord” lo zio rivela al nipote come si riuscisse allora, e si potrebbe forse riuscire adesso, a non lasciarsi sopraffare di fronte alle piccole e grandi tragedie dell’umanità, a non farsi vincere dallo sgomento, dalla rabbia o dalla paura, pur tra mille inquietudini, per conservare la capacità di (sor)ridere e sognare. Il segreto della commedia sta appunto nel far emergere i paradossi e le dissonanze, nello svelare iniquità e ingiustizie, perfino nello smascherare i colpevoli, fornendo materia di riflessione e mettendo a nudo scomode verità, tra una gag e uno sberleffo, un apologo e una allegoria, o come in questo caso una canzone, per regalare infine il piacere di concedersi, nonostante tutto, una salutare e catartica risata.