Focus sui miti e le leggende dell’Isola reinterpretati in chiave contemporanea in “S’Accabadora” di Anfiteatro Sud (spettacolo vincitore del Premio alla Miglior Drammaturgia al Roma Fringe Festival 2020) con drammaturgia e regia di Susanna Mameli, che firma anche soggetto e regia degli inserti video, mentre le musiche sono di Paolo Fresu, in cartellone venerdì 16 dicembre alle 21 al Teatro “Tonio Dei” di Lanusei e sabato 17 dicembre alle 21 al Teatro “Antonio Garau” di Oristano, e ancora venerdì 3 febbraio alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania sotto le insegne della Stagione 2022-2023 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.
La pièce originale (già finalista al concorso Nuove Sensibilità del Festival Teatro Italia di Napoli e vincitrice del Premio Nazionale Teatro “Lauretta Masiero” per la drammaturgia) affronta temi cruciali e scottanti come la violenza di genere e i graffi sull’anima causati dagli abusi fisici e psicologici, accanto alla forza dei legami di sangue e all’importanza della sfera degli affetti, attraverso una vicenda emblematica sullo sfondo di una Sardegna arcaica sospesa tra passato, presente e futuro.
Sotto i riflettori Marta Proietti Orzella e Elisa Pistis che interpretano rispettivamente Antonia, donna forte e determinata, affermatasi in una antica e singolare professione, quella de “s’accabadora”, ovvero colei che spezza il filo del destino e pone fine all’esistenza e alle sofferenze terrene, figura leggendaria dell’immaginario sardo (e mediterraneo), quasi un’antesignana della moderna eutanasia e Speranzedda, che si prende cura della casa, creatura più fragile e apparentemente sottomessa, ma non meno tenace nel perseguire la realizzazione dei propri desideri, fino a imporre a entrambe una sorta di “sacrificio” crudele ma inevitabile.
“S’Accabadora” – liberamente ispirata a “Le Serve” di Jean Genet – mette in luce attraverso i dialoghi ironici e surreali tra le due protagoniste, incentrati sui giochi di potere e il ribaltamento dei ruoli tra serva e padrona, il rapporto tra le due sorelle impegnate a “recitare” davanti agli occhi del mondo ma anche custodi di inconfessabili segreti. Una partitura rigorosa e un ritmo incalzante, per condurre gli spettatori in un universo femminile e misterioso, tra complicità e antagonismi, in cui trionfa però la solidarietà tra due esseri in qualche modo prigionieri delle regole e delle convenzioni e del giudizio della società. Il dramma di Antonia e Speranzedda ha radici remote nella loro storia familiare, entrambe subiscono il peso e l’onta di una colpa altrui e, vittime di una feroce ingiustizia, hanno trovato nella fuga la possibilità di ricostruirsi una vita e raggiungere una qualche serenità, se non proprio la felicità.
Un cammino segnato da rinunce e dalla condanna alla solitudine: nessuna delle due ha potuto conoscere le gioie, o i dolori, del matrimonio, condividere l’amore con un uomo o avere dei figli, ma si ritrovano costrette a una difficile convivenza, a dover sopportare la continua presenza l’una dell’altra, con il ricordo incessante di un trauma da dimenticare; soltanto Antonia, “s’accabadora”, per il suo lavoro ha frequenti contatti con la realtà esterna, che appare in quel claustrofobico microcosmo come remota e irraggiungibile, quasi un altro pianeta. La casa rappresenta insieme il rifugio e il carcere dove, volontariamente, Speranzedda ha rinchiuso i suoi sogni di una perduta giovinezza, per assumere la funzione di angelo del focolare, cameriera o serva, nonché confidente di colei che, seppure a malincuore, le porta notizie su quel che accade fuori e divide con lei i suoi pensieri e le sue emozioni.
“S’Accabadora” è quasi una favola triste, tragicamente attuale, ma con momenti di estrema vivacità che si consumano nel duello verbale tra le due donne, ricco di allusioni e sottintesi, di rimandi all’enigma su cui è imperniata la loro esistenza, che si svela poco a poco, per frammenti o brevi squarci, in un crescendo di suspense e mistero fino al coup de théâtre finale, dove le due finalmente si mettono a nudo ed emerge, intera e terribile, la verità. Una pièce di teatro contemporaneo, con una scrittura bruciante, tra echi dell’opera di Genet e rimandi alla cultura e alle tradizioni della Sardegna, che mette l’accento sulla condizione femminile e sulla fragilità ma anche la forza delle donne costrette a confrontarsi con una civiltà patriarcale, a lottare quotidianamente per la propria emancipazione, per far valere le proprie opinioni e decidere del proprio destino, per conquistare la propria libertà. Un pièce teatrale avvincente e coinvolgente, per risvegliare le coscienze e mettere l’accento sulle ingiustizie, le discriminazioni, gli abusi e le violenze di genere, capace di far emozionare, a tratti perfino sorridere, con il pungente senso dell’umorismo e le situazioni paradossali, oltre che con le battute folgoranti di quello che pare un “gioco” tutt’altro che innocente, ma soprattutto far pensare.
































