Anche se sono trascorsi ben 36 anni, il 26 aprile 1986 è una data che resta indelebile nella memoria di tutti. Si tratta del giorno in cui in Ucraina si verificò uno dei più terribili disastri della storia: l’incidente nucleare della centrale di Chernobyl. I fatti di quella notte e ciò che avvenne nei giorni seguenti sono stati spunto per serie tv, film e documentari. Ma cosa accadde esattamente?
Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986, dentro la centrale nucleare V.I. Lenin (posta a 18 chilometri dalla città di Chernobyl e a 3 chilometri da Pripyat, nell’area settentrionale dell’Ucraina), era in corso un test definito “di sicurezza” sui reattori che producevano il 10% dell’energia elettrica dell’intero Paese. Il reattore numero 4 era quello interessato dalle operazioni, gli addetti ai lavori attuarono alcune manovre azzardate violando i protocolli di sicurezza e causando un improvviso innalzamento della potenza del nocciolo del reattore. Alle ore 1:23 della notte del 26 aprile la centrale venne scossa da una fortissima esplosione: una violenta spinta di vapore fece salire in aria il coperchio di mille tonnellate che chiudeva ermeticamente il nocciolo. Il reattore restò quindi scoperto e iniziò a rilasciare grandi quantità di grafite, provocando un grosso incendio che disperse nell’aria le radiazioni.
Dall’esplosione si sprigionò una grande nube, carica di particelle radioattive, che cominciò a inquinare tutta l’area attorno alla centrale, la cosiddetta “Zona Rossa”, che comprendeva le città di Chernobyl e Pripyat. Il vento trasportò le particelle nell’atmosfera e presto vennero contaminate intere regioni dell’Ucraina, Bielorussia e alcune zone della Russia. La nube raggiunse poi gran parte dell’Europa occidentale, colpita però in misura inferiore. Inizialmente le autorità cercarono di tenere nascosto l’accaduto, ma dopo alcuni giorni venne fuori la drammatica verità.
Fu mobilitato l’esercito e gli abitanti della città vennero caricati su autobus ed evacuati, mentre squadre di migliaia di operai, detti “liquidators” e “biorobots”, vennero inviate per tentare di fermare la fuga radioattiva. Per bloccarla più velocemente lavorarono vicino al sito dell’esplosione senza avere le protezioni adeguate e tanti di loro morirono a distanza di poche settimane di tumori o leucemie, altri invece videro le conseguenze manifestarsi nei loro figli attraverso malattie e malformazioni. Grazie al loro sacrificio però il reattore venne richiuso con un tappo di cemento armato il 10 maggio, stesso giorno in cui a Roma una folla di circa 200mila persone scese in piazza per protestare contro le centrali nucleari. Manifestazione che gettò le basi per il referendum che l’anno successivo porterà all’abbandono del nucleare in Italia.

Quattro mesi dopo, nell’agosto del 1986, si è tenuto il processo a porte chiuse che ha portato alla condanna per negligenza criminale del direttore della centrale nucleare Viktor Bryukhanov e dell’ingegnere capo Nikolai Fomin, del vice ingegnere capo Anatoly Dyatlov e del capo della vigilanza Boris Rogozhkin per abuso di potere, del supervisore Alexander Kovalenko e dell’ispettore Yuri Laushkin. Inoltre, ci furono 67 licenziamenti e 27 espulsioni dal Partito Comunista. Coinvolto nelle responsabilità nel 1991 anche il progettista Viktor Bukanov e chi aveva collaborato alla costruzione della centrale. Nelle cause civili oltre 7 milioni di persone hanno ricevuto un risarcimento.
Quello di Chernobyl è considerato il più grave incidente avvenuto in una centrale nucleare, tanto che la scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici dell’Aiea (agenzia internazionale per l’energia atomica) lo ha classificato come evento catastrofico di livello 7, il massimo. Grado attribuito solo un’altra volta all’incidente della centrale di Fukushima, avvenuto in Giappone l’11 marzo 2011.
Tanti anni dopo il disastro, il conteggio delle vittime è ancora incerto e dibattuto, con cifre spesso differenti tra loro. Si possono leggere rapporti che vanno da stime di 30 vittime fino a centinaia di migliaia di morti. Si parla di 4.000 casi di cancro alla tiroide tra Bielorussia, Ucraina e Russia, per l’esposizione nel solo periodo 1992-2002. Le cifre calcolate dalle associazioni indipendenti invece sono almeno 10 volte superiori.
Oggi Pripyat e Chernobyl sono città fantasma, abitate quasi esclusivamente dagli addetti ai lavori e da animali selvatici. La fauna e la flora mostrano ancora oggi le tracce dell’esposizione alle radiazioni. Tra gli animali son state rilevate malformazioni genetiche alle prime generazioni e alcuni effetti a lungo termine: su un campione di 40 specie di uccelli è stata studiata una riduzione delle dimensioni dell’encefalo, collegata probabilmente ad una riduzione delle capacità cognitive. Per quanto riguarda la flora, un intero bosco di pini vicino alla centrale, dopo aver assunto un colore rossiccio a causa delle radiazioni, è poi morto.
Nella più ampia area considerata contaminata vivono ancora oggi circa 5 milioni di persone e fra queste continuano ad osservarsi i gravi effetti del disastro di Chernobyl: tumori, malformazioni, infertilità, problemi durante le gravidanze, patologie respiratorie e dermatologiche.


