Bianca Pitzorno. Il tessuto di una grande storia: “Il sogno della macchina da cucire”

Bianca Pitzorno

C’è stato un tempo, non molto lontano, pieno di incertezze, in cui il mondo era molto differente rispetto ad oggi: il popolo, spaccato e distante, era composto da classi tanto diverse quanto distaccate l’una dall’altra. Era la generazione dei nostri nonni, periodo in cui l’emancipazione femminile poteva esistere attraverso la meritocrazia che appianava la distinzione tra un uomo e una donna liberandoli dal loro status, mostrando la speranza di evadere da una condizione sociale definita e spesso insormontabile, e l’arte del mestiere e la sua padronanza significava potere e riscatto: “impara un mestiere”, dicevano, “se vuoi essere libero”.

Partendo da questa frase Bianca Pitzorno dà libero sfogo alle proprie capacità letterarie, trasportando in parole le storie ascoltate in gioventù e confezionando Il sogno della macchina da cucire (2018, Bompiani Edizioni), un romanzo forte, intenso, energico, che tratta l’emancipazione femminile e sociale con eleganza ed ingegnosità, illustrando al lettore una storia di rivincita a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del 900.

L’autrice sassarese, classe 1942, è una delle penne sarde più celebri e affermate nel panorama dell’editoria nazionale, nonché artista poliedrica e figura a tutto tondo. Archeologa, ambasciatrice Unicef, sceneggiatrice per la televisione, illustratrice e traduttrice (a lei si deve la traduzione de “Le avventure di Tom Bombadil” di J. R. R. Tolkien), è con la scrittura che la Pitzorno sfoggia tutto il proprio estro creativo. Talento inarrestabile (oltre venti le sue opere tra racconti e romanzi in quarant’anni di carriera), dopo diversi saggi, l’artista sarda si dedica interamente alla narrativa, crescendo intere generazioni di lettori con il suo stile deciso e le sue eroine tenaci e determinate, firmando alcuni dei libri più acclamati da critica e pubblico, come La bambina col falcone, Ascolta il mio cuore o La bambinaia francese.

Nel suo ultimo romanzo Bianca Pitzorno ci trascina così in una città indefinita della nostra isola, che potrebbe esistere in qualsiasi angolo del mondo, facendoci vivere in prima persona le vicende di una delle tante ragazze sarde, una donna giovane e ostinata, rimasta orfana in tenera età, ma che, in una terra classista e dalla mentalità arginata da ideologie e credenze, troverà nella sua nonna analfabeta, ma saggia e oculata, non solo una giudiziosa figura genitoriale, ma anche un’amica, e soprattutto, una maestra d’arte. Sarà l’anziana sarta ad insegnare i segreti del mestiere all’adorata nipotina, a introdurla nelle “stanze da cucito”, tra le stoffe e gli orpelli dell’epoca, conscia che quell’ago e quel filo sarebbero diventati per la giovane il lasciapassare verso l’indipendenza e l’autonomia.

La giovane sartina di giornata vive quindi in un mondo in cui ogni abito e capo (persino le lenzuola) deve essere confezionato su misura del singolo cliente, ideando, tagliando, cucendo, e recandosi in ogni palazzo in cui viene richiesta la sua mano, sognando, nel mentre, l’amore sulle corde di Puccini e imparando a leggere, scrivere e comportarsi da signora. Le peregrinazioni date dal suo mestiere permettono alla giovane sarta di entrare non solo nelle inaccessibili ville dell’alta borghesia, ma anche di conoscere a fondo le proprie acquirenti, con i loro scandali, paure, misteri e avventure.

Nascerà una tenera amicizia con la marchesina Ester, giovane femminista amante dell’equitazione, della meccanica e del greco antico, educata da un padre aperto e moderno, aiuterà miss Lily Rose, una caparbia giornalista americana, a nascondere nel proprio corsetto i segreti di una vita; vizierà le sorelle Provera cucendo per loro gli scandalosi tessuti giunti da Parigi; quindi incontrerà donna Licinia Delsorbo, crudele ed austera centenaria intenta a proteggere “il buon nome” della propria famiglia, e infine si imbatterà nella piccola Assuntina, da tutti definita “la bimba selvatica”. Tante donne diverse, lavori impossibili e avventure che faranno avvicinare sempre più la giovane sartina al proprio sogno, la ricerca di una libertà economica per potersi permettere un’invenzione rivoluzionaria, nuova, che tanto sta spopolando tra le sarte di alta classe, ma ancora preclusa ai più: una macchina da cucire.

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