La maggior parte delle volte, fama, lavoro e ambizione non bastano a spegnere l’amore che lega le persone alle proprie radici. Che siano materne, paterne o da entrambe le parti, spesso il richiamo alle origini è tanto prepotente da influenzare l’esistenza ancora da scrivere e da diventare un marchio distintivo. Un elemento che l’artista Aligi Sassu seppe perfettamente sfruttare, per rendere omaggio alla terra sarda, ma soprattutto alla libertà creativa.
Nato a Milano nel 1912 dalla parmense Lina Pedretti e dal sassarese Antonio Sassu, – considerato tra i fondatori del Partito Socialista Italiano a Sassari nel 1894 – Aligi ebbe il primo incontro con la Sardegna in età precoce, in quanto nel 1921 si trasferì con i genitori a Thiesi (SS), paese natale del padre. Della durata di 3 anni, il soggiorno isolano risultò per il futuro artista breve e intenso, grazie all’incontro con i brillanti colori della macchia mediterranea destinati a diventare elementi caratteristici della sua pittura.
Impressa nei ricordi, la terra sarda accompagnò Aligi Sassu nel successivo ritorno a Milano, dove si formò all’Accademia di Brera e fu introdotto dal padre nell’ambiente artistico futurista, popolato da figure del calibro di Carlo Carrà, Bruno Munari e Filippo Tommaso Marinetti. Proprio quest’ultimo gli permise nel 1928 di partecipare alla Biennale di Venezia, inaugurando non solo il suo percorso professionale, ma anche l’adesione convinta ai capisaldi futuristi, espressi in opere – realizzate tra 1927 e 1929 – incentrate su sport, macchine e industria.
Non passò inoltre molto tempo prima che Aligi definisse con Munari il cosiddetto Manifesto della Pittura “Dinamismo e riforma muscolare”– basato su una rappresentazione dinamica e antinaturalistica – e approfondisse la ricerca stilistica tramite il confronto con artisti come Lucio Fontana, Umberto Boccioni, Diego Velasquez e Pablo Picasso. Se da una parte gli anni ‘30 del ‘900 non fecero altro che rafforzare un percorso promettente e portarono a una mostra allestita a Milano, dall’altra l’avvento del Fascismo arrecò non poche difficoltà a Sassu, che nel 1934 soggiornò a Parigi per studiare importanti pittori francesi, tra cui Théodore Géricault, Paul Cézanne, Henri Matisse e Eugène Delacroix.
Una devozione per la conoscenza e l’ispirazione che lo coinvolsero nello stesso periodo anche a livello politico, facendolo aderire all’ideologia antifascista. Sviluppata proprio durante il soggiorno parigino, la militanza trovò espressione sia in lavori artistici – come quello dal titolo “Il grande Caffè”, ultimato nel 1940 – sia nell’opposizione concreta, tanto che verso la fine degli anni ‘30 fu rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli per accusa di complotto. Lo spiacevole incidente di percorso tuttavia – risoltosi con la concessione della grazia nel 1938 – non lo scoraggiò, portandolo tra anni ‘80 e ‘90 alla scoperta di zone del mondo come Canada, Sud America, Germania e Spagna, dove Pollença divenne il luogo del suo eterno riposo il 17 luglio del 2000.
Situata nel nord-est dell’isola spagnola di Maiorca, la cittadina di Pollença incrociò il suo destino con Sassu nel 1964 dopo il ritorno in Sardegna nel decennio precedente, durante il quale ebbe modo di ispirarsi alla vita marinaresca e contadina per la serie delle “Tonnare” dedicate alla pesca del tonno. Un’attenzione per la vitalità incarnata anche dal cavallo, altro elemento distintivo dell’artista e presente in molte opere realizzate nell’arco della vita. Forte ed energico, Aligi vide per la prima volta l’animale durante la permanenza in Sardegna e ne rimase affascinato al punto da ritrarlo in opere come la litografia “Cavallo” del 1964, che vede la monumentale bestia stagliarsi su sfondo praticamente spoglio.
Libertà, potenza, movimento, coraggio: alcune caratteristiche riscontrate nel nobile destriero risuonano anche nello stile di Aligi Sassu, il quale non si risparmiò mai nell’esplorazione di nuove tecniche e spaziò da modalità essenziali ad altre più elaborate come il lavis, pratica basata sul passaggio di acido su lastra per avere un particolare effetto.
Tra varietà e libertà, questi elementi continuano a vivere nel museo di Thiesi dedicato all’artista, – inaugurato nel 2010 e attualmente chiuso –dotato di 4 sale con opere realizzate con varie tecniche e soggetti, tra cui spicca un affresco dedicato ai moti antifeudali del XVIII secolo d.C. nei quali Thiesi ebbe un ruolo centrale. Un esempio artistico tra tanti suoi capolavori, che ricorda ancora una volta quanto tale figura abbia vissuto all’insegna di un’eclittica passione, ispirata anche dalla terra d’origine.