Gli haters, gli odiatori del web, sono spesso nascosti tra persone comuni ed insospettabili. Sono intorno a noi eppure, nella quotidianità della vita reale, si mescolano tra la gente così bene che non li notiamo, finché non ci sorprendono con qualche commento a cui ci viene quasi da rispondere “ma salutava sempre”. Sono il nostro vicino di casa, la vecchietta che va ogni domenica in chiesa, la mamma che porta i bambini al parco, il ragazzo che passeggia tenuto per mano con la sua fidanzata, l’uomo in giacca e cravatta. Non hanno un’età precisa, non sono classificabili in un target di riferimento: l’odio sembra poter colpire chiunque, e così gli haters proliferano.
I Social Network. I social sono terreno fertile per tutti coloro che vogliono sfogarsi sul web. Quasi come se lo schermo fosse una protezione, sembra che tutti possano dire la propria. Nell’era dei filtri, sembra che questi siano spariti quando si tratta di dover commentare una foto o un articolo: nascosti dietro la frase di rito “è la mia opinione”, sembra che l’educazione, il tatto e il buon senso siano definitivamente passati di moda. Ma cos’è che fa nascere questo bisogno di vomitare il proprio odio su qualcun altro? È difficile stabilire esattamente quale sia il grilletto che fa scattare questa molla, ma è come se aleggiasse una continua insoddisfazione: in un’epoca in cui abbiamo tutto, sembra che questo non sia mai abbastanza.
I social ci mettono in una posizione in cui dobbiamo continuamente confrontarci con gli altri. Scorrendo le foto di Instagram vediamo vite perfette in case e location da urlo, con persone sempre sorridenti e felici. Siamo consapevoli che dietro quegli scatti ci sia anche dell’altro, eppure quell’apparenza di gioia e di lusso non va giù, rimane ferma in gola, finché la voglia di distruggere, sminuire, insultare diventa quasi incontrollabile. È quasi un pareggiare i conti ma no, cari haters, odiare gli altri non renderà la vostra vita migliore.
I cambiamenti sociali e l’odio. Stiamo vivendo un’epoca di transizione in cui ci stiamo liberando da vecchi valori, ormai obsoleti, per abbracciare una società più aperta verso un senso di globalità e meno schiava da pregiudizi. La strada è ancora lunga, ma stiamo muovendo i primi passi verso una nuova realtà: forse anche questo cambiamento che si avverte nell’aria, porta una parte della popolazione a schierarsi contro ciò che, per alcuni, può sembrare una novità. In questo caso, l’odio non si manifesta come un sentimento di invidia generalizzato, ma è molto più mirato. Questo tipo di comunicazione è definito hate speech, traducibile in italiano con “discorso di incitamento all’odio”, e vede come vittime principali le minoranze: immigrati, disabili, omosessuali, ma anche le donne.
Essere donna nel 2020 non dovrebbe essere motivo di odio, eppure l’emancipazione femminile sembra accettata solo in teoria. In questo caso, però, ci sono degli haters che colpiscono maggiormente: gli haters delle donne non sono gli uomini, ma le donne stesse. Dal body shaming, ai commenti più aberranti sotto i fatti di cronaca, sembra che essere padrone della propria vita e del proprio corpo nel XXI secolo sia ancora un tabù. In questo caso l’odio si manifesta quasi come uno scontro generazionale, o meglio tra valori di una società ancorata ad una visione patriarcale ed una società che aspira alla semplice accettazione dell’essere umano in quanto tale.