La vediamo sventolare sulle facciate degli edifici istituzionali, il suo simbolo è impresso all’interno di uffici, luoghi di rappresentanza e perfino su prodotti commerciali. Nessuno, però, sembra conoscerne con certezza l’origine e tutte le possibili soluzioni che gli studiosi offrono sono ancora oggi permeate da un alone di mito e suggestione. Parliamo, naturalmente, dell’icona che raffigura i Quattro Mori, vero e proprio simbolo leggendario prima ancora che identitario.
L’ancestralità del simbolo moresco è un punto fermo nella cultura mediterranea, basti solo pensare che anche la bandiera della Corsica raffigura una testa di moro rivolta verso l’inferitura. L’attuale bandiera corsa risale al 1755; prima di allora, la benda che attualmente fascia soltanto la fronte del moro ne ricopriva gli occhi, bendandolo: qualcosa di molto simile, questo sollevare la benda, a quanto poi accadrà anche nella nostra isola.
Le ipotesi sull’origine del simbolo moresco, dicevamo, sono diverse. Una tra le più diffusamente accettate riguarda l’origine iberica di questo stemma che, secondo alcuni, stilizzerebbe la vittoria degli aragonesi contro gli invasori mori. Furono quattro le battaglie combattute in terra spagnola e nelle quali i mori ebbero la peggio. Ecco quindi la decapitazione simbolica di un invasore per ciascuna della battaglie vinte, naturalmente con le teste disposte tutt’intorno a una croce per simboleggiare la superiorità e la vittoria del cristianesimo. La croce merita poi una trattazione a sé. Le bande rosse su sfondo bianco ricordano infatti, molto da vicino, il simbolismo templare e prendono il nome di Croce di San Giorgio. In effetti, tra le attività dei cavalieri templari c’era quella di combattere contro gli invasori musulmani, appunto i mori, che occupavano Gerusalemme e depredavano i pellegrini che si recavano in visita alla città del Santo Sepolcro.
Ma i simboli variano anche a seconda di chi li interpreta. Una visione più tradizionalmente sarda, per esempio, vede nei quattro mori una rievocazione dell’“età d’oro” dei Giudicati quando, prima dell’anno mille, la nostra isola era divisa in quattro storiche regioni e vantava un’indipendenza e un’organizzazione interna molto in anticipo sui tempi, per le forme di governo dell’epoca. A quel tempo risale anche la cacciata dei saraceni, evento che sarebbe quindi stato immortalato, simbolicamente, nel nostro stemma. Le vittorie nei confronti degli arabi invasori rappresentano comunque un vero e proprio filo conduttore nelle ipotesi formulate sull’origine dei Quattro Mori. C’è infatti chi sostiene che fu il Papa in persona, Benedetto VIII, a consegnare il simbolo ai pisani, in segno di benedizione, per il soccorso che prestarono alla Sardegna in occasione delle invasioni saracene.
Non di rado, poi, la contrapposizione tra nativi dell’isola e saraceni genera racconti dal sapore leggendario, come quello del cavaliere vestito di luce, e dalla croce infuocata ardente sul suo petto, che compare provvidenzialmente sul campo di battaglia spagnolo dove si scontrano, poco dopo l’anno mille, Pietro I d’Aragona contro i musulmani. Messi così in fuga i nemici, il sovrano dedica uno stemma crociato alla misteriosa figura, e vi fa incidere sopra i mori decapitati.
In anni più recenti, la bandiera dei quattro mori è stata al centro di varie polemiche, spesso volte a una sua sostituzione, in altri casi mirate all’apporto di alcune modifiche. C’è, per esempio, chi ha sostenuto come, in tempi di multiculturalismo e globalizzazione, un simbolo come quello sardo possa essere lesivo dell’identità dei popoli di colore o, più in generale, della dignità del mondo arabo. Non sono mancate proposte riguardanti possibili sostituti: dalle ormai popolarissime statue di Mont’e Prama, con i loro occhi fissi e concentrici impressi nella pietra, alla Quercia del Giudicato di Arborea, in seguito assurta a stemma della Provincia di Oristano. L’unica modifica operata sulla bandiera, sul finire del secolo scorso, riguarda però l’orientamento dei mori, che oggi guardano verso il lato opposto all’inferitura.
Finora, comunque, niente sembra essere riuscito a scalfire la forza di un’icona che, indipendentemente dalla sua origine, è ormai endemicamente entrata a far parte della nostra isola e della cultura mediterranea.