Con il suo umorismo genuino ha conquistato intere generazioni, ha costruito una carriera lunghissima attestandosi come il capostipite della comicità in Sardegna. La coverstory di questo numero è dedicata ad uno dei personaggi più conosciuti e forse più amati della nostra isola e non solo: Benito Urgu.
Conosciuto principalmente per le sue barzellette ed imitazioni, ha nel corso degli anni fatto scoprire un lato di sé più intimista e meno appariscente, andando a riscoprire forme espressive che aveva sempre amato, ma alle quali non era mai riuscito a dedicarsi completamente come la fotografia e la poesia.
Ci ha accolto nella sua casa nei pressi di Oristano, in mezzo ai suoi quadri, e tra una risata e una poesia, ha condiviso con noi una piccola parte della sua storia fatta di incontri, passioni e qualche delusione.
Intere generazioni ti conoscono e ti amano, come sei riuscito a conquistarle?
Ci sono riuscito senza quasi accorgermene, grazie all’umiltà e la sincerità del mio modo d’essere. Chi cerca di entrare nel cuore degli altri con la forza, paradossalmente, è difficile che poi riesca a sfondare. È la stessa semplicità con la quale sono arrivato a conoscere personaggi come Tatti Sanguineti, Piero Chiambretti, Nino Frassica o il grande Nanni Loy. Proprio lui una volta disse una frase che mi rese molto felice. Ci trovavamo nel programma di Piero Chiambretti “Prove tecniche di trasmissione” e lui disse una cosa che non mi sarei mai aspettato: “Ringraziamo Benito Urgu per aver riportato umanità fra di noi”. Dico questo proprio per confermare che ci sono delle cose che fai senza rendertene conto, io tutto avrei pensato meno che stessi portando umanità!
Come ricordi i tuoi primi passi nel mondo dello spettacolo?
Sono andato via di casa a 18 anni, alla ricerca di qualcosa di nuovo, con l’obiettivo di lavorare nel mondo dello spettacolo, ma è stato un po’ un salto nel buio. Ho iniziato lavorando in un circo con il quale giravo tutta la Sardegna e dentro al quale ho fatto salti mortali, ma non quelli con le corde! Mi improvvisai cantante anche se non lo ero, mi improvvisai cabarettista anche se non sapevo da dove iniziare; mi lasciavo ispirare da quel poco che faceva sorridere gli altri, la creatività non sapevo cosa fosse, però c’era e man mano ha dato i suoi frutti. Ho imparato cammin facendo. Quello spazio che a quei tempi sembrava molto piccolo, ma che in realtà era grande, è stata la mia Università.
Da qualche tempo abbiamo scoperto che ti dedichi anche ad altre arti come la poesia e la fotografia, come sono nate queste passioni?
La poesia in qualche modo l’ho sempre utilizzata per le tantissime canzoni che ho scritto, ho scritto anche un musical, e, nella sua forma più pura, se vogliamo dire così, l’ho iniziata a coltivare circa vent’anni fa. Sono lati di me poco conosciuti, ma va bene così, mi scopriranno pian piano, come oggi stava cercando di scoprirmi il vostro fotografo Domenico, che anche di venerdì è in azione!
Anche la fotografia mi ha sempre appassionato, solo che c’è una parte della mia vita che non è stata immortalata per il semplice fatto che allora non possedevo una macchina fotografica. Anche del periodo del circo mi resta solo qualche foto di gruppo. Oggi grazie alla fotografia riesco a scoprire nuovi mondi, utilizzo varie tinte per colorare le ossidiane e ottengo delle figure astratte nelle quali si possono riconoscere pianeti, visi, anche se non tutti riescono a coglierli. Ho scattato circa 60000 fotografie, ma solo una piccola parte è stata stampata su tela, un mix tra pittura e fotografia. Il mio primo cliente è stato Gianfranco Zola, a casa sua ha alcuni miei quadri.
Una carriera ricca di sfaccettature che è stata raccolta in una mostra, ce ne puoi parlare?
Sì, diciamo che sono uno dei pochi ad essere entrato in un museo prima di morire!
La mostra racconta il lato artistico, ma anche umano ed ha spazi dedicati a tutto ciò che ho fatto: c’è un angolo per i quadri, uno per la poesia dove grazie a delle cuffie si possono ascoltare i miei componimenti da me recitati, c’è un angolo dedicato al mio periodo con i Barrittas, un altro ancora dedicato alle pietre che io trovo casualmente e nelle quali sono scolpiti naturalmente dei volti, degli oggetti, ho pubblicato anche un libro dove sono raccolte le foto che ho scattato a questi sassi, si intitola “Facce toste”. Insomma, nella mostra hanno inserito proprio tutto e io ne sono stato molto felice, è stata un’iniziativa del comune di Villanovaforru che si concluderà adesso, a maggio, ma io ho intenzione di portarla un po’ in giro.
Ti consideri in qualche modo l’apripista della comicità in Sardegna?
Sì, anche perché quando ho iniziato la comicità in Sardegna era quella contadina dalla quale io ho imparato molto grazie ai miei nonni, a mio padre col quale lavoravo in campagna visto che non ero uno studente modello! Le barzellette avevano tutte risvolti sessuali, ma sempre velate dalla metafora, crobettantza si diceva in campidanese, in modo da non far capire certi aneddoti ai minori. Il sesso era sempre cudda gosa!
A quale dei tuoi personaggi sei più legato?
Questa è una domanda che mi fanno sempre, ma io davvero non saprei scegliere. Non ce n’è uno che preferisco, hanno ciascuno il proprio carattere.
È vero che sei stato di ispirazione a Giorgio Panariello?
Sì, era ancora sconosciuto al grande pubblico quando veniva a vedere i miei spettacoli. Stava muovendo i primissimi passi e venne assoldato dall’agenzia Applausi. Fui io a consigliargli di prendere spunto dai personaggi che incontrava tutti i giorni nella sua Toscana, esattamente come io facevo con i miei conterranei. Si è ispirato molto a me, a volte trasformando anche alcuni miei personaggi, come Tore Mitraglia, l’ubriacone che andava in giro con una bicicletta, lui l’ha toscanizzato nel suo Merigo.
Suscitare una risata è un’arte difficile, com’è cambiata la comicità nel corso degli anni?
È cambiata perché si è un po’ spento l’umorismo che nasceva tra le persone, negli angoli delle strade, coi vicini di casa. Forse dovuto anche al fatto che non c’è più comunicazione tra gli uni e gli altri. Oggi la comicità si concentra molto sulle falle politiche e poco sulle persone reali. Per esempio signora Desolina nasce da una bottegaia che c’era vicino a casa mia che aveva questo nome e da zia Ignazia, una signora non vedente che stava sempre alla finestra nell’angolo di strada dove giocavamo da bambini. Lei ci chiamava uno per uno per aggiornarsi su cosa succedeva in paese. È questo che rende universale l’umorismo, andare a pescare nella quotidianità.