Scrittore, autore televisivo, conduttore, organizzatore: tutto questo è Flavio Soriga. Utese, classe 1975, debutta nell’editoria vincendo nel 2000 il premio Calvino. Già ospite, in passato, su queste pagine, quanto è successo prima e dopo di allora lo leggiamo di seguito, direttamente dalle sue parole.
Che tipo di bambino sei stato?
Un bambino normale, nato e cresciuto in un piccolo paese della provincia sarda, un bambino normale in una famiglia normale. I miei genitori sono riusciti a non farmi mai sentire malato, strano, diverso, per il fatto che ero (sono) talassemico, che facevo (faccio) una trasfusione ogni quindici giorni, che intorno a me molti altri talassemici morivano, per complicazioni varie della nostra malattia. Sono cresciuto sentendomi normale, sano, uguale agli altri. Poi infine dopotutto completamente normale non dovevo essere, se mi son messo a scrivere libri.
Prima del debutto letterario ti piaceva leggere un genere o un autore in particolare?
Mi piaceva leggere, come mi piace ora. Leggere vuol dire avere delle razioni speciali di vita non vissuta ma che pure ti sembrerà d’aver vissuto, fare viaggi che nella realtà non ti sono permessi, visitare città in cui non potrai andare, conoscere persone che no, non potrai conoscere davvero – Conti russi, generali napoleonici, ballerine indiane, poliziotti corrotti di New York. Non rende migliori, leggere, ma aumenta notevolmente le tue possibilità di capire, conoscere, riflettere.
Oggi ci sono tanti giovani aspiranti scrittori che cercano chi li pubblichi. Per te come è stato l’esordio in questo senso? E come è cambiato, nel tempo, l’approccio alla pubblicazione?
Nel maggio del Duemila ho vinto il premio Calvino per inediti, avevo venticinque anni, il Calvino mi ha permesso di venire letto da alcuni editori importanti sardi e italiani, tra questi il primo a farmi un’offerta concreta di pubblicazione fu il Maestrale, che da qualche anno pubblicava libri che amavo, romanzi di autori che stavano conquistando un pubblico importante, anche fuori dalla Sardegna. Ho pubblicato il mio primo libro con loro, sono partito da Nuoro per arrivare a Milano, dopo il primo libro ho avuto infatti la fortuna di passare a Garzanti e poi a Bompiani, di vincere qualche premio, di avere un certo numero di lettori e lettrici che mi seguono – non molti, ma abbastanza per continuare a venire pubblicato. Quel poco che ho fatto, comunque, non avrei mai potuto farlo senza una persona splendida che ho avuto la fortuna di incontrare tanti anni fa, e che non potrò mai ringraziare abbastanza: Roberto Santachiara, un grande uomo di cultura che per mestiere fa l’agente letterario.
In che modo ti ha cambiato la paternità? Esiste, in questo senso, un’assonanza tra il mettere al mondo un bambino e un libro?
La libertà di scoprire quel che si vuole essere, la felicità immensa dello sperimentare, dell’imparare dagli errori, la leggerezza del non crescere tra paranoie e imperativi gridati per abitudine, il diritto alla corsa, alle urla, alle capriole e al solletico. I bambini non sono lì per divertirci o assomigliarci, ma per diventare quel che vogliono, facendo ogni giorno le loro scelte, i loro errori, imparando da soli. I libri invece, da soli non crescono, senza qualcuno che li scriva non esistono. E poi i bambini si tirano su in due, i libri li si scrive in solitudine.
Anche il festival letterario è un tuo grande amore…
Da dieci anni ogni fine estate a Sassari io, mia sorella Paola (che è una scrittrice e pubblica per Einaudi), Geppi Cucciari e la cooperativa Le ragazze terribili organizziamo uno dei festival letterari più importanti in Italia: Sulla terra leggeri. Abbiamo scelto la piazza sopra il nuovo mercato civico di Sassari perché è un luogo abbandonato, dove non accade nulla per tutto l’anno, e perché è in un quartiere bello e popolare, affascinante e vero, autentico, vivo, pieno di storie. Vedere quel luogo riempirsi di gente, nella settimana del festival, per gli incontri con gli autori e le chiacchierate con giornaliste e intellettuali, politici, attori e attrici, ci rende sempre felici. Collaboriamo poi con le scuole di Sassari durante tutto l’anno, abbiamo un grande seguito sui social, organizziamo a Natale delle serate di letture solidali, e degli incontri nelle biblioteche della provincia. Abbiamo portato a Sassari e Alghero, all’interno di questo festival, Irvine Welsh e Vinicio Capossela, Walter Siti e Niccolò Ammaniti, Dente e Cosmo, Toffolo e Christian Raimo, Lella Costa e Serena Dandini (e altre centinaia di autori e autrici). È un lavoro enorme, che ci occupa per un anno intero, ma ciò che davvero ci convince ad andare avanti è vedere che ogni anno il gruppo degli organizzatori si allarga, che sempre nuovi amici si uniscono alla compagnia, che due o tre giovani laureati ad ogni nuova edizione portano nuove idee, entusiasmo, energia. I festival devono essere coinvolgenti o non hanno senso di andare avanti.
C’è un programma che vorresti scrivere o condurre?
Mi piacerebbe condurre un programma che fosse all’incrocio tra molte vecchie gloriose strade: Indietro Tutta, il miglior Costanzo, la migliore Serena Dandini, il vecchio Roxy Bar – un programma-spettacolo con personaggi stralunati, totalmente fuori dall’attualità, soprattutto quella politica. Stranamente non me l’hanno ancora fatto fare.
Ci sono particolari tematiche che ti piacerebbe affrontare e sviluppare nei tuoi prossimi lavori per curiosità, interesse sociale o altri motivi?
Qualunque essere umano è mio fratello. Non ci sono “gli altri”, non ci sono “quelli”. Se fossi nato e cresciuto in un Paese in guerra, o in povertà, o in un luogo in cui gli ospedali non funzionassero affatto o non esistessero, avrei compiuto qualunque impresa, tentato qualunque cosa per fuggire dalla mia terra e raggiungere un Paese meno povero e disperato, soprattutto l’avrei fatto per un figlio o una figlia. Il razzismo è sempre orribile, ma il razzismo di chi appartiene a un popolo che ha sempre subito il razzismo è anche ridicolo. Sardignoli, sardo-pelliti, pastori, criminali congeniti: siamo stati discriminati e offesi per secoli, nessuno di noi dovrebbe permettersi mai una sola parola razzista. Di tutto questo vorrei scrivere, appena possibile.
Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi progetti letterari, televisivi, artistici?
Sto finendo di scrivere un romanzo. Il che può voler dire che tra tre mesi sarà finito, o tra sei anni, o che distruggerò presto il file. Dovrebbe raccontare di nuovo di sangue altrui nelle vene, di una bambina di nome Nora, di una donna bellissima e meravigliosa che riesce a trovare un senso ad ogni giornata e che sa essere mamma in modo splendido, e poi del lavoro in tv, di chi lavora in tv senza contare nulla. Un giorno, poi, scriverò un giallo ambientato a Sassari, con David Logan co-protagonista e una jazz-band di New Orleans che interpreta Sassari di Giovannino Giordo, live in Piazza Tola, diecimila persone a sentire e cantare.