“Quando Ferdinand Lieber apparve per la prima volta sulla scena di Parigi furono in tanti a gridare al miracolo. Da dove mai spuntava quel talento? La voce corse rapida di quinta in quinta e in capo a un mese si faceva la fila per vederlo e tutti parlavano del giovane prodigio che si esibiva ogni sera al Théâtre de Grenelle”.
Così viene narrato il battesimo dell’attore Ferdinand Lieber sul palcoscenico parigino. Ma il suo ingresso, per i lettori del romanzo che lo vede protagonista (Alberto Capitta, L’ultima trasfigurazione di Ferdinand, Il Maestrale, 2016, pp.208, € 16.00), nel teatro scarno della pagina, era avvenuto molto prima.
L’incipit del libro lo coglie lontano dalle scene a lungo calcate, già avanti negli anni, mentre dal finestrino di una vecchia Ford scruta il paesaggio incantato dell’isola mediterranea in cui si è recato, uno scorcio che sembra messo lì “da un guaritore d’anime”: il luogo ideale per un ritiro lontano dai riflettori e dai ritmi serrati delle tournée (e che richiama prepotentemente, senza mai nominarla, la terra che regala i natali all’autore). Parallelamente, attraverso i ricordi del protagonista, viene introdotta la nascita di quella vocazione che lo accompagnerà per tutta l’esistenza: una passione che si manifesta sin dalla tenera età, quando il piccolo Ferdinand non aspetta le feste comandate per mascherarsi ma, al contrario, appena ne ha l’occasione fruga nel baule per indossare il primo cencio che trova e divenire così, per un istante, qualcun altro.
Una propensione, quella di voler viaggiare con la fantasia lontano dal sé e dal gelido ambiente familiare, che sortirà l’effetto di provocare l’ira di suo padre, scontento di quel figlio “strano” il cui comportamento non riesce a decodificare. Ira che raggiungerà il culmine quando il genitore si accorgerà che Ferdinand gioca a impersonare l’omonimo fratellino, mai conosciuto e morto prima della sua nascita. Per il fanciullo, vedere il proprio nome inciso sulla lapide che i genitori lo portano a visitare fa sì che alla frustrazione iniziale di sentirsi un rimpiazzo, mai all’altezza di quello che l’altro sarebbe diventato, subentri la fantasia di una scissione: il bambino inizia a dividere le proprie giornate tra quelle vissute come il Ferdinand vivo, se stesso, e il Ferdinand redivivo, che gusta ogni istante con la gioia del resuscitato e custodisce il tesoro fantastico dei mondi conosciuti nell’aldilà.
Il desiderio di errare in territori distanti dal piano più immediato del reale accompagnerà il giovane olandese sino all’età adulta quando, impiegato in uno studio legale parigino, dedicherà ogni ora libera a goffe prove d’attore di fronte allo specchio e al vagabondaggio nei teatri cittadini, fino al momento cruciale in cui si risolverà a prendere “lezioni di recitazione” e incontrerà Amedeo Castiglia.
Nella maleodorante e fatiscente abitazione di quest’ultimo, capirà che apprendere il mestiere dell’attore è qualcosa di molto diverso da come se lo era figurato e avrà modo di entrare in contatto col proprio dono e mettere in atto quelle metamorfosi che lasceranno di stucco gli spettatori durante le sue performance. Ma le trasfigurazioni di Ferdinand hanno un costo emotivo elevato, uno scotto che pagherà nell’assistere per caso a un atto crudele.
Con questo quinto lavoro il sassarese Alberto Capitta (vincitore del Premio Lo Straniero e finalista al Premio Strega con Creaturine, nel 2013 il suo Alberi erranti e naufraghi si aggiudica il Premio Brancati e viene eletto Libro dell’Anno di Fahrenheit) affonda lo sguardo in un mondo che gli è caro e grazie al quale ha formato il suo peculiare approccio alla lettera scritta: quello del teatro. La trasfigurazione, che appare anche come caratteristica stilistica preponderante, dilatando e contraendo lo spazio-tempo della narrazione, accogliendo e specchiando il cangiante stato emotivo dei personaggi, diviene, questa volta in maniera esplicita, oggetto di indagine, contenuto che si dichiara sin dal titolo. E che porterà il lettore, attraverso le vicissitudini del protagonista, a porsi una serie di scottanti quesiti riguardo alle parti che ci troviamo a interpretare nel grande proscenio su cui si svolgono le nostre vite.