L’arte, com’è noto, si manifesta nei modi più impensabili. Forse è per questo che, visitando la casa di Marco Vargiu, si ha l’impressione di ritrovarsi calati in uno dei film di Dario Argento vecchia maniera. Ricordate le atmosfere cupe e allo stesso tempo sgargianti di Profondo Rosso, Suspiria, Inferno? Ecco, il rosso acceso sulla facciata della sua casa le ricorda parecchio e la vasta campagna circostante, dove da ogni angolo spuntano teste, braccia e corpi di manichino assemblati nella pietra, non fa che rafforzare questa impressione.
Ma dalle impressioni non bisogna lasciarsi ingannare. Parlando con Marco si scopre una persona estremamente affabile che riversa sulle opere d’arte tutta la sua sensibilità e la sua voglia di modellare, di plasmare e dare forma a emozioni che non riuscirebbe a esprimere in altro modo. «Una ricerca che nasce sui banchi di scuola», ci racconta. «La prima volta che intagliai un pezzo di legno facevo le scuole medie. Quel processo mi affascinò, volevo capirne il meccanismo, riuscire a creare quello che avevo in mente. Così iniziai a esercitarmi con qualche pezzo di legno preso dalla campagna.» Da lì in poi una escalation di opere destinate a riscuotere sempre un gran successo di pubblico. «La critica, purtroppo, non è stata spesso altrettanto magnanima. Molti colleghi, soprattutto quando ero più giovane, non apprezzavano i miei lavori un po’ perché non avevo un titolo di studio, essendo io sempre stato un autodidatta, e un po’ per quella che poi ho capito essere invidia personale. Rimasi molto impressionato da alcune frasi che mi dissero e non scolpii per diverso tempo.»
Ma gli anni passano e, per fortuna, l’entusiasmo ritorna. Ci sono due episodi che inorgogliscono molto Marco. «Sono fiero che la Brigata Sassari abbia selezionato il mio bozzetto per la realizzazione di un monumento che è diventato il nuovo alzabandiera. È un lavoro di impatto figurativo, scolpito su due blocchi di marmo di Orosei del peso complessivo di ventisei tonnellate dove è possibile vedere l’unica parte sopravvissuta di una casa bombardata; un soldato avvolto col manto che di solito copre le vittime; un enorme chiodo che spacca il marmo come per dire “Stop!” a tutte le guerre; un libro che vuole raccontare la storia della Brigata Sassari e un angelo avvolto nella bandiera che protegge tutti i soldati impegnati nelle missioni. E poi non tutti sanno (anche perché non è mai stata ufficialmente inaugurata) che, sempre a Sassari, i giardini di via Rockefeller ospitano una mia scultura, voluta dall’allora sindaco Giacomo Spissu, e dedicata ai caduti durante gli incendi in Sardegna.»
Le opere commissionate e acquistate da enti pubblici sono numerose. Qui vogliamo ricordare ancora la scultura in legno del Cristo risorto e il monumento in trachite ai caduti di tutte le guerre, entrambi conservati a Tissi, il primo nella scuola materna e il secondo nella piazza principale del paese. Una sua nuova frontiera di esplorazione artistica riguarda attualmente l’intaglio sardo. A differenza di quello classico che viene eseguito su legno, i suoi lavori nascono però su pietra. Non è infrequente, quindi, anche tra le esposizioni per la vendita che periodicamente realizza nei centri commerciali della città, trovare piccoli cofanetti dal design antico, che ricordano i vecchi bauli e cassapanche dei nonni, realizzati in pietra e con le opportune riduzioni di grandezza. «L’ultima mostra alla quale ho partecipato è stata al Museo Andrea Parodi di Porto Torres, nel 2017, in occasione della Festa Grande. Si intitolava “Sardegna: l’evoluzione della storia – Tra intagli di pietra e intrecci di moda”. Ha registrato più di mille presenze in tre giorni e io partecipavo proprio con le mie cassapanche in pietra e con una vetrina di dolci sardi elaborati preparati da me, che nella vita lavoro come pasticcere. La mostra era incentrata anche sui bellissimi intrecci di moda degli abiti sardi e dei bottoni realizzati dalla bravissima Salvatorica Sechi.»
Su Facebook potete trovare tutto quello che riguarda i caratteristici lavori di Marco Vargiu.